“Per combattere efficacemente il caporalato è fondamentale rafforzare la rete del lavoro agricolo di qualità, eliminando le occasioni di sfruttamento del lavoro nero create dall’attuale normativa sull’ingresso degli extracomunitari in Italia. Inoltre, è essenziale vincolare l’erogazione dei contributi europei al rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli”. Così Romano Magrini, responsabile lavoro Coldiretti, spiega da Siracusa, dove è in corso l’expo agricoltura che precede il G7 agricolo, la posizione dell’organizzazione rispetto a uno dei fenomeni negativi che sta danneggiando l’agroalimentare. Domani Magrini sarà anche a Roma insieme al presidente Prandini all’incontro a Palazzo Chigi.
Un passaggio cruciale è la revisione delle regole sul decreto flussi, che rappresenta una delle principali fonti di manodopera per il caporalato. In questo contesto, Coldiretti sottolinea la necessità di superare il sistema del “click day” e di impedire ai datori di lavoro, che in passato hanno richiesto il nullaosta per lavoratori stagionali senza poi assumerli, di presentare nuove domande. È altresì indispensabile un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria nelle attività di controllo e verifica, l’introduzione di un limite alle richieste che possono essere presentate dai singoli cittadini e l’esclusione dal regime delle quote per le conversioni dei permessi di soggiorno stagionali in permessi per lavoro subordinato.
“Ci sono tre tipi di caporalato – spiega Romano Magrini, responsabile lavoro Coldiretti – Quello classico è determinato dallo sfruttamento del lavoratore pagato in nero ed è la diretta conseguenza della disonestà del datore di lavoro e va condannato sempre e comunque. Poi c’è il caporalato di filiera che deriva dal prezzo imposto dalla grande distribuzione al produttore che non riesce a coprire il prezzo di produzione. Poi c’è il caporalato che possiamo definire bianco, ovvero tutti quei prodotti che provengono dall’estero e utilizzando lo sfruttamento dei lavoratori anche minori e che poi arrivano in Italia e grazie al codice doganale che permette l’ultima trasformazione diventa Made in Italy. Lavorando tutti insieme si può riuscire a contrastare questo fenomeno che danneggia pesantemente la nostra agricoltura”.
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