ARTICOLO | Economia

Consumi, anche in Italia le fake news colpiscono il latte (-2,1%)

7 Gennaio 2020
Consumi, anche in Italia le fake news colpiscono il latte (-2,1%)

Con un calo del 2,1% dei consumi su base annuale il latte fresco rischia di pagare un conto pesante alla diffusione delle fake news contro l’alimento tradizionale più salutare della colazione tricolore. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati Ismea relativi al terzo trimestre del 2019 in relazione alla bancarotta di Borden Dairy, il secondo produttore di latte Usa con 163 anni di storia e un fatturato di 1,18 miliardi di dollari affossato dalle fake news dopo che a novembre Dean Foods, numero uno del settore negli Stati Uniti, aveva presentato istanza di fallimento.

Ogni anno si producono in Italia 11 milioni di tonnellate di latte di mucca, 500 mila tonnellate di latte di pecora, oltre 200 mila di latte di bufala e 60 mila di latte caprino ma nonostante la piramide alimentare preveda un consumo di 2-3 porzioni al giorno, si registra una flessione nei consumi dovuta al calo della natalità e alla diffusione di stili alimentari alternativi, ma non solo. Anche in Italia infatti gli acquisti di latte sono influenzati negativamente dalle fake news diffuse in rete secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita. In realtà – sottolinea la Coldiretti – il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte. Il filone di pensiero che ritiene opportuno bandire i latticini dall’alimentazione poggia – spiega la Coldiretti – sul China Study, un’indagine epidemiologica svolta a partire dal 1983 in Cina, i cui risultati sono stati ritenuti inattendibili dalla comunità scientifica e dall’’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.

Un altro grande falso che si può trovare in rete è che con il latte si ingeriscono sostanze inquinanti e ormoni mentre latte, yogurt, formaggi e burro sono assolutamente sicuri e salubri perché soggetti a rigidi controlli e l’uso di ormoni è vietato in Italia e in tutta Europa. Come è altrettanto falsa – evidenzia Coldiretti – l’informazione che il consumo di latte aumenti il rischio di osteoporosi “rubando” calcio allo scheletro infatti proprio i prodotti lattiero caseari sono una fonte privilegiata di calcio, sia per la notevole quantità presente che, soprattutto, per la sua “biodisponibilità”. I falsari dell’informazione – aggiunge Coldiretti – sostengono poi che il latte sarebbe nemico del cuore e delle arterie mentre proprio il suo consumo influisce positivamente su ipertensione e diabete.

In Italia sono circa 12 milioni le persone che usano bevande vegetali per un consumo sotto gli 85 milioni di litri all’anno – spiega la Coldiretti su dati Iri – la soia rappresenta da sola circa il 48 per cento del mercato mentre il resto riguarda preparati a base di riso, mandorla, avena, cocco e farro. Questi prodotti – evidenzia la Coldiretti –  hanno il colore e la consistenza del latte, ma non ne hanno le caratteristiche nutrizionali e organolettiche. In commercio ce ne sono di diversi tipi e nel 2016 sono entrati ufficialmente nel paniere dei consumi Istat. Si tratta però di bevande che non hanno gli stessi elementi nutrizionali del vero latte – sottolinea la Coldiretti – se quella a base di riso si caratterizza per un apporto di zuccheri eccessivo, quella di soia non ha lo stesso livello di proteine del latte animale. Inoltre ci sono delle differenze anche in termini di micro-nutrienti, come vitamina D e ferro.

Nel giugno del 2017 – conclude la Coldiretti – la Corte di Giustizia europea si è pronunciata sul fatto che “i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale” anche se “tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione”. Fa eccezione solo il latte di mandorla.

 

 

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