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Tra prodotti a Km 0 e vendita diretta, come vanno indicati gli aromi in etichetta?

11 Luglio 2012
Tra prodotti a Km 0 e vendita diretta, come vanno indicati gli aromi in etichetta?

Fino al nuovo regolamento 1334 del 2008, il cui dettato viene rafforzato dal reg. 1169/2011 gli aromi erano divisi in 3 categorie: aromi naturali (ricavati da prodotti naturalmente presenti come vegetali, fiori, frutta, verdura, etc); aromi natural-identici (chimicamente uguali nella struttura a quelli naturali, ma creati in laboratorio); aromi artificiali (prodotti interamente in laboratorio su strutture chimiche diverse rispetto a quelle esistenti in natura). Tale lettura permetteva al consumatore ben informato di orientarsi in modo da scegliere in base a requisiti di sicurezza e qualità (evitando ad esempio aromi artificiali e scegliendo quelli naturali o natural-identici). E al produttore alimentare, di vedere premiate o punite le proprie scelte  produttive.

Ora  con le nuove regole,  recepite definitivamente dagli Stati della Unione Europea dal gennaio 2011 tutto sembra meno trasparente e chiaro. Una perdita secca per produttori di qualità e consumatori.

Scompare la possibilità di fatto di utilizzare la dizione “aromi naturali-identici” in etichetta, in quanto sia questi che gli aromi artificiali vanno indicati sotto il generico nome “aromi”. Una vittoria insomma della lobby delle industrie degli aromi, fortemente concentrata in un pugno di grosse imprese multinazionali, e che controlla sia il mercato food che cosmetici e profumi.

L’aspetto è problematico dal punto di vista della consapevolezza dei consumatori in quanto non permette loro di riconoscere molecole di sintesi e artificiali da molecole che sebbene ricostruite in laboratorio, sono uguali a quelle presenti in natura proprio nella struttura chimica (aroma fragola, aroma vaniglia etc)-i cosiddetti “natural-identici”. E non permette ad esempio a chi ha bambini di scegliere prodotti con la massima cautela.

In base alle nuove regole però, i produttori virtuosi che aggiungono solo aromi naturali, possono indicare “aroma naturale di XXX (vaniglia, cacao, fragola, etc)” se almeno il 95% dell’aroma deriva per estrazione dalla materia prima di origine naturale.

Diversamente, si può usare la menzione “aroma naturale di XXX con altri aromi naturali” laddove il gusto finale corrisponde a quello della sostanza XXX, ma è ottenuto a partire anche da altri aromi pur sempre naturali (estratti da altre materie prime di origine naturale). Qui l’aroma naturale di fragola è inferiore al 95%, a differenza del caso precedente.

Infine, si può  semplicemente usare la definizione “aroma naturale”, laddove il gusto della sostanza XXX (es caffè) che si intende promuovere anche nella denominazione di vendita, non è affatto presente. Il mix di altri aromi (naturali per estrazione) alla fine permette di ricostruire un gusto –profumo paragonabile a quello del caffè. Qui l’aspetto problematico non riguarda la sicurezza alimentare ma semmai la corretta informazione ai consumatori, che possono essere ingannati dalle indicazioni in etichetta riferite al gusto e che si attendono, per tornare all’esempio precedente, la presenza del caffè nel prodotto finito.  

Bisogna quindi imparare a sospettare dalla definizione generica “aromi”, in quanto può nascondere sia prodotti natural-identici che (più probabilmente) artificiali.

I produttori che utilizzano solo estratti naturali (es, aroma limone), lo devono indicare chiaramente in etichetta, nella lista degli ingredienti (“aroma naturale di limone”).

Gli “aromi ”come genericamente definiti dalla nuova normativa possono trarre in inganno il consumatore, e sono di largo utilizzo in quanto poco costosi. Ma non pochi aspetti rimangono problematici per la sicurezza alimentare, in ragione sia del potere di condizionare la quantità di cibo consumata (molto maggiore in cibo reso più attraente dagli aromi); sia dei rischi derivati dall’assunzione continua e congiunta di diverse molecole sintetiche di questo tipo.

Molecole per le quali spesso mancano dati tossicologici sufficienti a decretarne la assoluta sicurezza alimentare, e per le quali si procede con una valutazione “semplificata” di default. Infatti, laddove mancano dati riconducibili alla struttura chimica che lasciano intendere minacce di cancro o alterazione genetica (genotossicità), si applica una valutazione a-priori e qualitativa: ammettendo il consumo entro la popolazione di quantitativi di tali aromi, trattati sì come impurità o sostanze non desiderabili, ma non come intrinsecamente rischiosi.

Coldiretti ha partecipato ad una consultazione pubblica di EFSA proprio per cercare di limitare al massimo il ricorso ad un processo di valutazione del rischio chimico iper-semplificato che porta le multinazionali degli aromi a vedere introdotte ogni anno con una facilità estrema molecole sintetiche dagli effetti sconosciuti sulla salute umana. Tale processo inoltre altera il funzionamento del mercato dei prodotti alimentari “evoluti” e ad alto tasso di trasformazione, dove la concorrenza è elevata, facilitando i competitor che speculano sul prezzo degli aromi (artificiali) a discapito di quelli naturali.

Il tutto, in base ad un approccio di valutazione che non prevede test su animali e prove tossicologiche reali (cosiddetto Soglie di Preoccupazione Tossicologica).

Coldiretti ha chiesto la massima tutela dei cittadini consumatori, e così rispetto per chi produce alimenti sicuri e di qualità.