13 Ottobre 2015
Sintesi del volume dell’osservatorio sulla criminalità in agricoltura e del MIPAAF
Sintesi del volume dell’osservatorio sulla criminalità in agricoltura e del MIPAAF e del ministero delle politiche agricole a cura di Stefano Toschei
Il Volume costituisce il prodotto di uno studio sistematico dell’attuale ordinamento giuridico nazionale sulla prevenzione della corruzione nella sua più corretta accezione di maladministration. Dall’esame delle misure di prevenzione della corruzione volte a scongiurare la "cattiva amministrazione", lo studio si sofferma sul fenomeno delle ecoagromafie individuando i peculiari modelli applicativi del sistema di prevenzione della corruzione dedicati allo specifico settore agricolo. Il Volume si completa con una appendice normativa e con una selezione delle più rilevanti sentenze in materia dell’ultimo anno e con le più significative indicazioni e decisioni dell’Anac.
Breve sintesi
1. Alla ricerca della definizione di “eco/agromafia”
Nell’accezione di “eco / agro-mafie" si è pervenuti a far confluire fenomeni diversi ed anche assai distanti tra loro, unificati in maniera generica dal metodo (illecito) e dall’oggetto (il settore primario dell’economia).
Non molto altro appare enucleabile quale comun denominatore giuridico, e questo diviene un problema nel tentativo di ipotizzare una norma unitaria tesa a prevenire / reprimere questa nebulosa.
Infatti il fenomeno identifica, nel linguaggio corrente (anche giornalistico/ispettivo) attività illecite che hanno come oggetto o obiettivo:
– l’acquisizione di fonti di produzione alimentare (siano essi terreni, bestiame, aziende agricole), preceduti ed accompagnati da fenomeni “classici” di estorsione, usura (strumentali all’acquisizione successiva dei terreni o delle aziende) o furto (bestiame e prodotti alimentari): fenomeno esteso a tutti i settori dell’agro-alimentare;
– la gestione della manodopera, spesso tramite il fenomeno del c.d. “caporalato”;
– l’organizzazione del trasporto dei prodotti (ottimo veicolo di materiale di per sé illecito, droga per esemplificare), scarico e distribuzione (cooperative di facchinaggio);
– la gestione dello stoccaggio (mercati ortofrutticoli e del pesce, in particolare).
Fa da corollario a tale modalità di acquisizione e produzione (ma ulteriormente conglobati nell’accezione in esame):
– l’utilizzo di materie prime (concimi e mangimi) non controllate (spesso prodotti esteri la cui tracciabilità è spesso difficoltosa se non impossibile);
– la strumentalizzazione dei terreni per farli divenire discariche abusive, anche di rifiuti tossici;
– la possibilità di produrre a basti costi ed attivare concorrenza sleale nei confronti di aziende che producono regolarmente, con costi maggiori, anche perché spesso il prodotto alimentare dell’agro mafia è poi anche imposto nelle zone di riferimento alle strutture di consumo o distribuzione;
– la frode e la contraffazione alimentare;
– l’apertura di locali di ristorazione e l’accesso alla grande distribuzione: da qui la facilitazione ad un’ampia attività di riciclaggio.
Casistica assai ampia, quindi, e neppure esaustivamente enumerata.
La “agro-mafia” può e deve quindi ritenersi un nuovo e strutturale terreno di espansione della criminalità.
Nell’accezione di “eco / agro-mafie" si è pervenuti a far confluire fenomeni diversi ed anche assai distanti tra loro, unificati in maniera generica dal metodo (illecito) e dall’oggetto (il settore primario dell’economia).
Non molto altro appare enucleabile quale comun denominatore giuridico, e questo diviene un problema nel tentativo di ipotizzare una norma unitaria tesa a prevenire / reprimere questa nebulosa.
Infatti il fenomeno identifica, nel linguaggio corrente (anche giornalistico/ispettivo) attività illecite che hanno come oggetto o obiettivo:
– l’acquisizione di fonti di produzione alimentare (siano essi terreni, bestiame, aziende agricole), preceduti ed accompagnati da fenomeni “classici” di estorsione, usura (strumentali all’acquisizione successiva dei terreni o delle aziende) o furto (bestiame e prodotti alimentari): fenomeno esteso a tutti i settori dell’agro-alimentare;
– la gestione della manodopera, spesso tramite il fenomeno del c.d. “caporalato”;
– l’organizzazione del trasporto dei prodotti (ottimo veicolo di materiale di per sé illecito, droga per esemplificare), scarico e distribuzione (cooperative di facchinaggio);
– la gestione dello stoccaggio (mercati ortofrutticoli e del pesce, in particolare).
Fa da corollario a tale modalità di acquisizione e produzione (ma ulteriormente conglobati nell’accezione in esame):
– l’utilizzo di materie prime (concimi e mangimi) non controllate (spesso prodotti esteri la cui tracciabilità è spesso difficoltosa se non impossibile);
– la strumentalizzazione dei terreni per farli divenire discariche abusive, anche di rifiuti tossici;
– la possibilità di produrre a basti costi ed attivare concorrenza sleale nei confronti di aziende che producono regolarmente, con costi maggiori, anche perché spesso il prodotto alimentare dell’agro mafia è poi anche imposto nelle zone di riferimento alle strutture di consumo o distribuzione;
– la frode e la contraffazione alimentare;
– l’apertura di locali di ristorazione e l’accesso alla grande distribuzione: da qui la facilitazione ad un’ampia attività di riciclaggio.
Casistica assai ampia, quindi, e neppure esaustivamente enumerata.
La “agro-mafia” può e deve quindi ritenersi un nuovo e strutturale terreno di espansione della criminalità.
La genericità dell’accezione risulta quindi senz’altro utile a cogliere la natura diversificata del fenomeno e l’utilità di una sua valutazione congiunta ed unitaria.
Allo stesso tempo appare difficile ipotizzare interventi normativi tesi a tipizzare in un’unica figura o fattispecie le diverse sfaccettature.
L’etichettatura dei prodotti, sotto il profilo di una tracciabilità completa dei prodotti (a partire da mangimi e concimi), appare uno strumento utile: si ipotizza qui una tracciabilità completa, dalla fonte al prodotto finito: tracciabilità territoriale e soggettiva (una sorta di necessaria certificazione antimafia in ambito del commercio di prodotti agricoli, anche fra privati). Pur essendo facilmente ipotizzabile l’imposizione normativa, nel contesto della PA (si pensi alle mense), lo snodo commerciale rimane la grande distribuzione e i mercati dei prodotti all’ingrosso: il controllo in tale ambito può risultare determinante.
L’etichettatura dei prodotti, sotto il profilo di una tracciabilità completa dei prodotti (a partire da mangimi e concimi), appare uno strumento utile: si ipotizza qui una tracciabilità completa, dalla fonte al prodotto finito: tracciabilità territoriale e soggettiva (una sorta di necessaria certificazione antimafia in ambito del commercio di prodotti agricoli, anche fra privati). Pur essendo facilmente ipotizzabile l’imposizione normativa, nel contesto della PA (si pensi alle mense), lo snodo commerciale rimane la grande distribuzione e i mercati dei prodotti all’ingrosso: il controllo in tale ambito può risultare determinante.
2. Il sistema anticorruzione italiano
Il fenomeno corruttivo rappresenta una dolorosa piaga del sistema amministrativo “Italia”, denunciata ormai con costante preoccupazione dalle numerose organizzazioni non governative che studiano il fenomeno in ambito internazionale da molti anni. Possono anche non assumere particolare significato le statistiche riportate all’esito di tali studi, ma ciò che comunque emerge è il tendenziale dilagare del fenomeno in tutti i settori dell’attività pubblica, anche quelli che naturalmente apparivano un tempo impermeabili a questo tipo di patologie.
La corruzione non deve essere intesa sotto il solo profilo criminoso, non si manifesta esclusivamente nella circostanza episodica caratterizzata dal comportamento delittuoso, essa invece costituisce un fenomeno (c.d. maladministration), una tendenziale abitudine, una coazione a ripetere azioni e ad assumere atteggiamenti che pantografano fenomenologicamente e tipizzano il modo di essere “soggetto corrotto e corruttibile”, potendosi annidare in ogni espressione dell’azione di un ente pubblico.
Le ultime statistiche denotano una apparente decrescenza del fenomeno con il passare degli anni, ma ciò costituisce solo una deludente percezione superficiale. Quei risultati sono significativamente condizionati dalla abilità degli autori del fatto corruttivo ad introdurre tecniche operative idonee ad ostacolare l’emersione degli episodi delittuosi. Tale riflessione induce ad affermare che costituisce approccio più efficace quello di prevenire e combattere all’interno della struttura organizzativa l’insorgenza del fenomeno, piuttosto che reprimere quei pochi episodi che giungono a conoscenza (spesso per volontà degli stessi protagonisti nei rari casi in cui si rompa il legame criminoso con gli altri sodali) delle Forze dell’ordine.
Le ultime rilevazioni del Corruption Perception Index (CPI), compiute da Transparency International – basate sulle opinioni di esperti e professionisti – collocano l’Italia al sessantanovesimo posto (a pari merito con il Ghana e la Macedonia), con un progressivo aggravamento della corruzione percepita negli ultimi anni.
L’indice CPI è stato ulteriormente elaborato in considerazione del rapporto che, generalmente, lega la corruzione al reddito pro capite e all’indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI), pervenendosi alla formulazione dell’Excess Perceived Corruption Index (EPCI), che misura quanto un Paese si discosta dai valori di corruzione attesi. Secondo quest’ultimo indice l’Italia si collocherebbe al penultimo posto nella classifica formata dai Paesi considerati dall’indice CPI di Transparency International, “battuta” solo dalla Grecia.
Si assiste, in particolare, ad un aumento dei costi strisciante e ad un rialzo straordinario che colpisce i costi delle grandi opere, calcolati intorno al quaranta per cento.
In una prospettiva ancor più ampia, la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi, incluso il nostro: il danno indiretto, e forse più grave, è quello inferto all’economia nazionale, perché la corruzione allontana le imprese dagli investimenti.
La corruzione non deve essere intesa sotto il solo profilo criminoso, non si manifesta esclusivamente nella circostanza episodica caratterizzata dal comportamento delittuoso, essa invece costituisce un fenomeno (c.d. maladministration), una tendenziale abitudine, una coazione a ripetere azioni e ad assumere atteggiamenti che pantografano fenomenologicamente e tipizzano il modo di essere “soggetto corrotto e corruttibile”, potendosi annidare in ogni espressione dell’azione di un ente pubblico.
Le ultime statistiche denotano una apparente decrescenza del fenomeno con il passare degli anni, ma ciò costituisce solo una deludente percezione superficiale. Quei risultati sono significativamente condizionati dalla abilità degli autori del fatto corruttivo ad introdurre tecniche operative idonee ad ostacolare l’emersione degli episodi delittuosi. Tale riflessione induce ad affermare che costituisce approccio più efficace quello di prevenire e combattere all’interno della struttura organizzativa l’insorgenza del fenomeno, piuttosto che reprimere quei pochi episodi che giungono a conoscenza (spesso per volontà degli stessi protagonisti nei rari casi in cui si rompa il legame criminoso con gli altri sodali) delle Forze dell’ordine.
Le ultime rilevazioni del Corruption Perception Index (CPI), compiute da Transparency International – basate sulle opinioni di esperti e professionisti – collocano l’Italia al sessantanovesimo posto (a pari merito con il Ghana e la Macedonia), con un progressivo aggravamento della corruzione percepita negli ultimi anni.
L’indice CPI è stato ulteriormente elaborato in considerazione del rapporto che, generalmente, lega la corruzione al reddito pro capite e all’indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI), pervenendosi alla formulazione dell’Excess Perceived Corruption Index (EPCI), che misura quanto un Paese si discosta dai valori di corruzione attesi. Secondo quest’ultimo indice l’Italia si collocherebbe al penultimo posto nella classifica formata dai Paesi considerati dall’indice CPI di Transparency International, “battuta” solo dalla Grecia.
Si assiste, in particolare, ad un aumento dei costi strisciante e ad un rialzo straordinario che colpisce i costi delle grandi opere, calcolati intorno al quaranta per cento.
In una prospettiva ancor più ampia, la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi, incluso il nostro: il danno indiretto, e forse più grave, è quello inferto all’economia nazionale, perché la corruzione allontana le imprese dagli investimenti.
3. Interferenze e dissonanze tra anticorruzione e lotta alle eco/agromafie.
Tra la concreta attuazione del sistema anticorruzione in Italia e la lotta alle c.d. eco/agromafie possono evidenziarsi molti profili di assonanza.
Nello stesso tempo va chiarito un passaggio di fondo. Il sistema anticorruzione è costruito in Italia (perché così si è voluto in sede internazionale e comunitaria) attorno al fenomeno da combattere conosciuto con la espressione anglofona “malamministrazione”.
Pertanto, ogni qual volta si parla di sistema anticorruzione, non ci si riferisce soltanto alla prevenzione da fenomeni criminosi rientranti nella esemplificazione penalistica della “corruzione”, ma si comprende invece il “cattivo modo di essere pubblica amministrazione”, sia quando agisca direttamente, sia quando è in ogni modo coinvolta nelle attività che pongono in relazione privati fra di loro.
Nel sistema anticorruzione (e nel fenomeno della “corruzione” come sopra inteso) deve essere sempre riscontrata la presenza, anche non da protagonista, di una Pubblica amministrazione. Il fenomeno delle eco/agromafie, per quel che si è descritto sopra al punto 1, è per lo più caratterizzato da rapporti tra privati. Tale caratterizzazione non costituisce un requisito indispensabile di individuazione del fenomeno, ma sempre più spesso, nei comportamenti ascrivibili a detta categoria, sono coinvolte, con ruoli diversi, le Pubbliche amministrazioni (si pensi alle procedure di appalto per le mense scolastiche, al rilascio di autorizzazioni e nulla-osta, alla questione relativa alle etichettature, alla tutela dei marchi e dei segni distintivi, ecc).
Nello stesso tempo va chiarito un passaggio di fondo. Il sistema anticorruzione è costruito in Italia (perché così si è voluto in sede internazionale e comunitaria) attorno al fenomeno da combattere conosciuto con la espressione anglofona “malamministrazione”.
Pertanto, ogni qual volta si parla di sistema anticorruzione, non ci si riferisce soltanto alla prevenzione da fenomeni criminosi rientranti nella esemplificazione penalistica della “corruzione”, ma si comprende invece il “cattivo modo di essere pubblica amministrazione”, sia quando agisca direttamente, sia quando è in ogni modo coinvolta nelle attività che pongono in relazione privati fra di loro.
Nel sistema anticorruzione (e nel fenomeno della “corruzione” come sopra inteso) deve essere sempre riscontrata la presenza, anche non da protagonista, di una Pubblica amministrazione. Il fenomeno delle eco/agromafie, per quel che si è descritto sopra al punto 1, è per lo più caratterizzato da rapporti tra privati. Tale caratterizzazione non costituisce un requisito indispensabile di individuazione del fenomeno, ma sempre più spesso, nei comportamenti ascrivibili a detta categoria, sono coinvolte, con ruoli diversi, le Pubbliche amministrazioni (si pensi alle procedure di appalto per le mense scolastiche, al rilascio di autorizzazioni e nulla-osta, alla questione relativa alle etichettature, alla tutela dei marchi e dei segni distintivi, ecc).
4. Conclusioni.
L’intimo contatto che può crearsi tra i due fenomeni di lotta (alle eco/agromafie e alla “corruzione”) non pare essere stato ancora approfondito dalla comunità scientifica né preso in considerazione dal legislatore per la predisposizione di interventi specifici e mirati. Pare invece necessario procedere ad effettuare tale indagine anche al fine di consentire la divulgazione di “buone pratiche amministrative” idonee a contribuire al sistema di interventi che si oppongono al proliferare di esperienze criminose, pluriorganizzate o meno, che colpiscono la filiera dell’agroalimentare in Italia, tenendo conto anche dell’inquinamento alla legalità proveniente da Paesi terzi, anche dell’Unione europea.
Nello stesso tempo, sarà utile effettuare un serio approfondimento ricognitivo circa la fenomenologia e la casistica (più completa possibile) sulle varie “forme” di eco/agromafia, distinguendole per settori e ambiti di incidenza allo scopo, anche in questo caso, di diffondere e divulgare una cultura della legalità ad ampio raggio, raggiungendo tutti gli operatori e protagonisti del settore c.d. eco/agroalimentare, definendo inoltre quali spazi siano già tutelati dalle disposizioni normative recate dal “sistema anticorruzione” e quali necessitano ancora di specifici e puntuali interventi legislativi, sia nel caso in cui vedano coinvolta una Pubblica amministrazione sia nell’ipotesi in cui si riferiscano a rapporti tra privati.
Nello stesso tempo, sarà utile effettuare un serio approfondimento ricognitivo circa la fenomenologia e la casistica (più completa possibile) sulle varie “forme” di eco/agromafia, distinguendole per settori e ambiti di incidenza allo scopo, anche in questo caso, di diffondere e divulgare una cultura della legalità ad ampio raggio, raggiungendo tutti gli operatori e protagonisti del settore c.d. eco/agroalimentare, definendo inoltre quali spazi siano già tutelati dalle disposizioni normative recate dal “sistema anticorruzione” e quali necessitano ancora di specifici e puntuali interventi legislativi, sia nel caso in cui vedano coinvolta una Pubblica amministrazione sia nell’ipotesi in cui si riferiscano a rapporti tra privati.
La rilevanza del fenomeno in questione, accentuata dagli esiti dello studio che ha dato luogo alla redazione del volume, consigliano inevitabilmente una seria riflessione circa la necessità per il legislatore di prevedere interventi normativi specifici in tema di legalità nella filiera eco agroalimentare e per l’Autorità nazionale anticorruzione di approntare misure dedicate alla definizione di un sistema di buone pratiche amministrative nel settore, ipotizzando la costituzione di tavoli permanenti di confronto con i protagonisti della lotta quotidiana al malaffare nell’agricoltura (nella più ampia accezione dell’espressione) e ciò, nello specifico, al fine di creare una sezione "dedicata" del Piano nazionale di prevenzione della corruzione oltre a ricevere contributi costanti per proposte normative anche in tema di trasparenza, quale misura generale di dissuasione della corruzione. A tal fine la Fondazione è pronta a proporsi quale interlocutore del governo e dell’ANAC per la lotta alla corruzione nel settore delle eco agro mafie mettendo a disposizione la stratificata esperienza multidisciplinare acquisita nel lotta al malaffare in questo settore di centrale rilevanza per l’economia nazionale".