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Recuperare varietà antiche di cereali per la food security

11 Dicembre 2012
Recuperare varietà antiche di cereali per la food security

Recuperare varietà di cereali e grano dismesse, considerate obsolete da un punto di vista della produttività e diffusione: questo il messaggio che la FAO ha recentemente diramato. Ad oggi infatti su scala globale la produzione si concentra  su 4 – 5 commodity (riso, mais, grano, patate) in confronto alle centinaia che sono state ibridate nel corso dei secoli in diversi continenti. E di queste 4-5 produzioni, pochissime sono le varietà utilizzate rispetto a quelle presenti. All’incontro “Raccolti per il 21° secolo” a Cordova in Spagna, il Direttore della FAO ha insistito sul concetto di biodiversità come scudo in grado di proteggere meglio la produttività complessiva. Grazie ad una strategia, si potrebbe dire, ben nota agli investitori e alle assicurazioni: la diversificazione del rischio. Avere in portafoglio un numero limitato di cereali a livello globale li espone a fattori di rischio che possono portare al crollo della produzione. Per contro, adottare cereali di varia natura e che rispondono diversamente alle avversità, può creare una rete di sicurezza. Non solo, avere a disposizione varie colture diminuisce il rischio di una dieta poco varia, che può creare carenze nutrizionali nelle popolazioni.

Per capire di cosa si tratta, è utile recuperare uno studio pubblicato in questi giorni sul New Scientist. Entro il quale si evidenzia come, in risposta al cambiamento climatico, vi sarà un effetto “spiazzamento” sui maggiori cicli culturali in alcune regioni europee (vedi mappa sotto). Con conseguenze ipotizzabili in termini di food security. La quale a sua volta si trova a dipendere da poche varietà, magari molto produttive, ma spesso molto sensibili alle avversità climatiche o di altro tipo. Secondo una visione ottimistica di qualche anno fa, un aumento delle temperature alle latitudini intermedie (fasce temperate) come appunto buona parte dell’Europa- avrebbe portato ad un aumento delle rese intorno al 10%. La realtà si sta profilando diversa, ed l’ atteso di un aumento delle temperature entro il 2050 fino ad 1,5 °C potrebbe arrivare presto a +3-4°C entro il 2100. Purtroppo in questi giorni si è chiuso l’incontro di Doha, in Qatar, che avrebbe dovuto gettare i ponti oltre il protocollo di Kyoto sulle riduzioni di emissioni serra e lotta al cambiamento climatico. Usa, Giappone e Cina si sono sfilati da qualsiasi impegno. L’Europa, insieme a Svizzera, Norvegia, Australia ha deciso di mantenere invece il passo per una riduzione del 15% delle emissioni entro il 2020.

Ma quel che conta è che le conseguenze attese sulla Food security potrebbero essere decisamente negative e ancora più amplificate rispetto a quanto già oggi si vede, con fenomeni climatici estremi che vanno da grandine, alluvioni, gelate e siccità –ondate di caldo. L’Italia- rende noto l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA)- risulta particolarmente colpita dall’aumento di temperature (vai a mappa EEA).

Non solo; anche la food-safety e le zoonosi potrebbero averne conseguenze. Già oggi in Europa a seguito dei cambiamenti climatici si evidenziano fenomeni come la blu tongue e il virus schmallenberg, portati da insetti –oltre areali in cui ci si poteva attendere di reperirli. Diverse specie di zecche Ixodes ricinus di possono allo stesso modo prolificare più a nord. 

L’ultimo decennio (2002-2011) è stato il più caldo mai registrato in Europa, con una temperatura della superficie terrestre più alta di 1,3° C rispetto alla temperatura media in epoca preindustriale. Diversi modelli di proiezione evidenziano che la temperatura in Europa potrebbe alzarsi di 2,5 – 4° C verso la fine del XXI secolo, rispetto alla media del 1961-1990.