La distribuzione organizzata europea è criticatissima, le Prassi Contrattuali Inique scaricate sui fornitori sono riconosciute da tutti (vedasi Libro Verde della Commissione Europea), i prezzi riconosciuti ai produttori e agricoltori sempre più insostenibili con uno stillicidio delle Piccole e Medie Imprese food UE. E nonostante tutto, mentre continua ad osteggiare una vera legge europea che regoli una volta per tutte la materia, Eurocommerce- sigla che riunisce i maggiori gruppi del retail UE- brinda.
In occasione del proprio 20esimo anniversario, Eurocommerce ha infatti insistito con il solito refrain: serve solo un approccio puramente volontario per affrontare i perduranti e complessi problemi. Mentre gli agricoltori insieme ad altri hanno chiesto un vera normativa UE, con almeno un livello di controllo e scrutinio su eventuali patti di filiera tra privati. Il manifesto reso pubblico da Eurocommerce , ha addirittura indicato il retail europeo come meritorio …. del Premio Nobel per la Pace. Il tasto toccato ancora una volta quello dell’indiretto sistema di welfare assicurato ai consumatori tramite una riduzione dei prezzi alimentari e più in genere alla distribuzione. Aspetto di sicuro appeal in tempi di incertezza economica, con una crisi perdurante in diversi paesi del Vecchio Continente (Italia inclusa).
Quel che fa riflettere riguarda diversi aspetti riferiti tanto al reale benessere consegnato ai consumatori, quanto a quello diversamente garantito ai produttori (anche agricoli).
Consumatori : beneficiati?
Tra i dubbi esistenti, e riconosciuti in diverse sedi nazionali (tra cui anche l’Italia con l’indagine conoscitiva sul settore del retail Agosto 2013-), prassi di contrattazione troppo dure con i fornitori rischiano di impedire una vera innovazione dei prodotti. Buttando fuori mercato imprese anche competitive. L’apparente beneficio dei consumatori, grazie a prezzi più bassi, può inoltre essere messo a dura prova nel medio-lungo periodo, quando l’aumento della concentrazione del retail crea dinamiche di oligopolio (pochi supermercati controllano il mercato), con prezzi che possono cominciare a essere decisi da pochi e quindi, inevitabilmente, alzati.
Non solo. La storia recente insegna che prezzi apparentemente bassi, e quindi vantaggio immediato per i consumatori, possono in realtà nascondere problemi enormi di frodi, di qualità e sicurezza alimentare. L’Horsegate ed il Porkgate inglese, con sostituzione di fonti proteiche diverse, ne sono un fulgido esempio recente.
Produttori, in crisi
I produttori primari, ma anche le industrie di produzione medio-piccole (PMI) da parte loro, si vedono sottoposte a condizioni difficili, con sconti retroattivi (non dichiarati nel contratto), reso della merce invenduta; ritorno della merce non venduta per problemi di danneggiamenti in negozio; contributi non dovuti su promozioni, sconti e offerte (come il 3×2 o simili); la rottura unilaterale dei contratti; e altro ancora. Pratiche di questo tipo si traducono inevitabilmente in costi (anche nella forma di rischi imprenditoriali) più elevati. Danneggiando fortemente il sistema produttivo, spesso sano, delle PMI.

“Greenpeace dell’economia”
Nel manifesto della distribuzione europea sembra che viaggino forti le parole e le suggestioni. Si arriva addirittura a mostrare i supermercati come la “Greenpeace dell’economia”. Mentre il Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, ha concluso la kermesse sottolineando come i supermercati stiano combattendo la “stessa battaglia”, ovvero quella per la concorrenza e del lavoro a livello UE. Curiosamente, nessun accenno alle responsabilità dei supermercati o alla necessità che intraprendano relazioni contrattuali improntate alla correttezza e rispetto dei fornitori …
Ma le cose non vanno affatto. Nel Regno Unito, non certamente un paese senza tradizioni liberali e improntato a un certo spirito mercantile, di impresa e delle relazioni economiche, i rapporti di filiera alimentare sono decisamente in crisi. Tant’ è che nuove speranze aveva sollevato, l’anno scorso, l’ingresso del nuovo “Adjudicator” a controllare i comportamenti “da bulli” della distribuzione organizzata verso gli agricoltori e fornitori.

Nel Regno Unito, il modello del Groceries Supply Code of Practices (Gscop) presente dal 2011, si applica ai retailer con oltre un miliardo di sterline di forniture fatturate dal Regno Unito. Tra gli obblighi che impone: di incorporare i principi di buone prassi commerciali negli accordi, accordi scritti, il divieto di cambiamenti retroattivi nei contratti, di delisting dei fornitori non giustificato, di richiesta di copertura dei costi di marketing, di copertura dei costi sprechi prevendita, di copertura dei costi promozionali, di formare personale aziendale sul Gscop in modo da creare cultura e sensibilità, di nominare un funzionario aziendale che si occupi dell’implementazione del Codice, di riferirsi ad un giudice di pace in caso di arbitrato.
Tali regole sono monitorate da una Competition Market Authority (in precedenza, fino all’anno scorso, Office for Fair Trading, Oft), che agisce anche come Antitrust e per la tutela dei consumatori. L’Adjudicator, nella figura di Christine Tacon era stato salutato come un possibile elemento stabilizzante nei confronti delle relazioni tra fornitori e distributori. Ma proprio nei giorni scorsi -come si apprende da Farmers’ Weekly-, proprio gli agricoltori avrebbero dichiarato di essere impauriti dal denunciare le scorrettezze contrattuali che subiscono. Tale clima di paura impedirebbe all’adjudicator di prendere parte attiva nella risoluzione delle controversie o nel predisporre sanzioni. Richiamando semmai alla necessità di una normativa più cogente, in grado di risultare realmente dissuasiva verso i retailer-bulli.
Da notare poi, che lo stesso Gscop del 2001 era stato reso più stringente 10 anni dopo. Non avendo ottenuti ancora sufficienti garanzie per le parti contrattuali deboli. La strada insomma è in salita. Spirito mercantile o meno.
Passi avanti?
Ma il prossimo 3 dicembre, presso il Parlamento Europeo, gli agricoltori e cooperative di Copa Cogeca mostreranno alle istituzioni cosa rimane da fare. Rinnovando la richiesta per una normativa europea sulle Prassi Commerciali Inique (Unfair Trading Practices, UTP). L’evento, “A Fair Food Chain for All”, verrà presieduto dalla europarlamentare portoghese Maria do Ceu Patrao Neves, già relatrice della lista delle Prassi Commerciali Inique. Su twitter: #fairfoodchains.