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Pagare per migliore posizione a scaffale? Multati i supermercati

7 Gennaio 2014
Pagare per migliore posizione a scaffale? Multati i supermercati

Nel Regno Unito, la figura dell’Adjudicator –Christine Tacon– ha sanzionato una prassi diffusa non solo Oltremanica: quella di chiedere corrispettivi monetari ai fornitori per un migliore posizionamento dei beni (alimentari e non) sullo scaffale. Di solito, ad altezza occhi. In modo da favorire un maggiore acquisto dei consumatori, suggerendo nei fatti quali prodotti acquistare. In base alle ricerche sui consumatori, è infatti notorio che posizionando a quell’altezza un prodotto si aumentano le vendite di circa un 10-15%.

Tesco avrebbe chiesto 30 sterline per il posizionamento di ogni prodotto, per ogni punto vendita nei due scaffali “premium”, quelli ad altezza occhi.

Slotting fees: lecite o meno?

Nel corso degli anni è sempre stato considerato dubbio se ammettere tale pratiche di “posizionamento” dietro corrispettivo monetario, o meno. Da una parte, i promotori, ne difendevano l’efficienza economica: se un fornitore è disposto a pagare, significa che investe su un prodotto di cui “si fida”, generando utili sia per sé che per il distributore. E selezionando i prodotti meritori di stare sul mercato. Allo stesso tempo, in questo modo si riuscirebbe ad allocare un bene scarso: proprio lo spazio dello scaffale migliore, quello ad altezza occhi.
Per contro, i detrattori hanno sottolineato questa richiesta come esosa e ingiustificata, atta a ingenerare un profitto non necessariamente collegato alla vendita del prodotto in quanto tale. E semmai, una richiesta connessa a un “servizio” non richiesto da parte dei fornitori, e reso obbligatorio. Inoltre, viene messo in dubbio lo stesso principio di efficienza: non sono necessariamente i prodotti migliori a “spuntarla” e a “sopravvivere” nelle posizioni migliori, ma più spesso, quelli di aziende con grandi volumi e fatturato, con le spalle “robuste”.

Se tracciare una linea da un punto di vista “filosofico” non è facile, a sgarbugliare la matassa ci hanno pensato nel Regno Unito i funzionari preposti.

Soluzione all’inglese

In particolare, Christine Tacon, la neo-istituita Adjudicator (una sorta di arbitro-garante del nuovo regime in vigore, il GSCOP- un codice di condotta ibrido, con elementi tra il diritto contrattuale e della concorrenza) ha multato tale prassi da parte di Tesco, numero uno indiscusso nel Regno Unito, con un turnover annuale pari a 72 milioni di sterline (di cui 44 nella sola Inghilterra: tanto per capirci Sainsbury, secondo, arriva a 27 milioni di sterline).

Sembra infatti che proprio il Grocery Supply Code of Practice (GSCP) preveda che i supermercati non possano esigere tale richiesta, ma solo avanzarla come contributo volontario. Infatti, all’articolo 12 del Codice inglese, si stipula che “la grande distribuzione non deve richiedere né direttamente né indirettamente a un fornitore alcun pagamento per garantirsi un migliore posizionamento a scaffale, a meno che tale pagamento non sia convenuto rispetto ad una promozione specifica”.

Così la difesa d’ufficio di Tesco ha cercato di convincere che tale richiesta non fosse stata imposta unilateralemente. Ma con scarsi risultati. Entro una lettera indirizzata al direttore del British Brands Group, John Noble, la Tacon chiarisce che “richiedere siffatti pagamenti è contrario allo spirito del GSCOP, in quanto diventa davvero un requisito commerciale, nei fatti. I fornitori infatti possono a buon titolo immaginare che se non adempiranno alla richiesta, potranno andare incontro a penalizzazioni di vario tipo.”

Successivamente, come seconda linea di difesa, Tesco avrebbe ammesso che si tratterebbe di un errore, precisando che tutti i fornitori sono stati successivamente contattati per rescindere tale parte del contratto.

Nuove Linee Guida ….
La mossa di Tacon segue la pubblicazione (fine dicembre 2013) di alcune linee guida per poter dar inizio a investigazioni caso per caso, nonché per applicare il codice di condotta. Tuttavia, sebbene sia possibile da ora lanciare tali investigazioni, non è ancora fatta la possibilità di imporre sanzioni pecuniarie. Questo perché al momento non è ancora stata approvata una somma massima applicabile, che verosimilmente verrà approvata dal parlamento la prossima primavera.

Nelle linee guida, pubblicate a seguito di una estesa consultazione tenutasi la scorsa estate, il principio di fondo è che possono dar inizio ad una richiesta di investigazione sia i fornitori-direttamente o indirettamente, così come pure parti terze e “whistleblowers”, ovvero cittadini e parti della società civile che esercitino un “diritto di critica”.

La situazione italiana

In Italia sebbene l’”articolo 62” del decreto liberalizzazioni (art. 62 del decreto-legge 24  gennaio 2012, n.1) sanzioni le prassi commerciali inique nel caso di squilibri di potere negoziale tra i contraenti, non vi sono previsioni negative specifiche a contrasto dell’obbligo di contributi per il posizionamento a scaffale all’altezza occhi. Però, più in genere, è sanzionata la richiesta di contributi per servizi accessori richiesti dalla GDO ai fornitori, su aspetti che eccedono quelle che dovrebbero essere le competenze stesse della GDO (art.4, par. 2, b). Ma sempre e solo qualora ricorra uno strapotere negoziale di una parte sull’altra. Questo impedisce una definizione “etica” in senso lato di un comportamento in quanto tale.

Ora, uno strappo in avanti arriva dal Regno Unito. Mentre in Italia l’Antitrust ha concluso il luglio scorso una indagine conoscitiva nel settore della distribuzione organizzata. Che ha portato all’apertura di una nuova indagine, stavolta a livello di centrali di acquisto (i gruppi che uniscono diverse insegne distributive), imputate di avere comportamenti distorsivi della concorrenza. Al centro dell’attenzione “Centrale Italiana”, la piattaforma di acquisto che serve diversi gruppi del retail- i maggiori presenti sulla scena nazionale. Coldiretti ha chiesto di far luce, tramite il presidente Moncalvo, per evitare che su ogni euro di spesa, solo 17 centesimi vadano nelle tasche degli agricoltori.

In Francia lo scorso ottobre i 3 principali gruppi della distribuzione – Leclercq, Auchan e Carrefour– sono stati multati per condotte sleali verso i fornitori. Il primo player stava infatti facendo pressioni su ben 21 fornitori perché non esigessero le compensazioni monetarie dettate dalle autorità in risposta a comportamenti vessatori precedenti, entro contratti sleali. Simile il caso di Carreforur (16 fornitori caricati con costi per servizi non richiesti). Auchan per contro aveva vincolato la riduzione del costo di acquisto dai fornitori a eventuali riduzioni del costo delle materie prime. Richiesta ritenuta inaccettabile. In tutti questi casi ha agito la Direzione Generale per la Concorrenza, i Consumatori e la Repressione delle Frodi (DGCCRF).

Gli scaffali al centro delle controversie

Nei mesi scorsi poi gli scaffali avevano assunto un ruolo appena diverso. In Scozia infatti il governo aveva cercato di imporre una restrizione sul cibo spazzatura, in particolare su cibi ricchi di zuccheri e grassi saturi. La strategia, lanciata a maggio 2013 con il British Standard Institute– prometteva di agire direttamente sulla disposizione delle superfici commerciali e … sulla messa a scaffale dei cibi. I cibi considerati “meno salubri” sarebbero da relegare in posizioni meno accessibili alla vista.

Tale proposta è poi naufragata in seguito alla fiera opposizione delle parti industriali. In particolare, non risultava chiaro il criterio per definire i cibi poco salubri, con il rischio di pregiudicare prodotti tradizionali scozzesi alla stregua di junk food qualsiasi.

Ma è un antefatto che segnala ancora una volta di più come lo spazio scaffali- sia diventato una questione strategica nel decidere cosa far comprare ai consumatori, in che quantità. Un aspetto da tenere sotto osservazione, insomma.