Si è tenuto a Roma un convegno volto ad analizzare l’impatto degli Ogm in agricoltura dal quale è emerso che si deve fare ancora molto per scoprire la verità su una produzione ancora incerta e, per questo, rischiosa. Il taglio prevalentemente scientifico dell’iniziativa ha fornito ulteriori elementi a sostegno di un modello di sviluppo libero da Organismi geneticamente modificati specialmente nel settore agricolo, il quale sta pagando a caro prezzo la disinvoltura nella immissione di semi transgenici nei campi.
Con rigore e metodo scientifico, il convegno si è articolato in interventi basati su numeri, dati, analisi, ricerche e studi che hanno rafforzato il convincimento che i risultati dell’ingegneria genetica non ricevono la stessa considerazione quando sono trattati e analizzati in laboratorio e quando, al contrario, sono oggetto di sperimentazione diretta sui campi aperti. Eppure, le biotecnologie utilizzate nel settore dell’alimentazione devono essere oggetto di verifiche continue e a lungo termine, affinché tutti i fattori condizionanti la salubrità e la sicurezza degli alimenti siano oggetto di attenta valutazione.
Premesso che la scienza non è, di per sé, a favore o contro gli Ogm, si tratta piuttosto di comprendere, dati alla mano, quali sono i vantaggi che essa apporta alla società e come può operare nel rispetto dell’ambiente. Da questo punto di vista, la ricerca svolge un ruolo importante, perché consente di ampliare gli orizzonti della conoscenza e induce a porsi nuove domande. Consente, in definitiva, di raccogliere elementi di prova, capaci di dare sostegno ad una tesi. Così, se non è possibile rispondere alla domanda sulla nocività degli Organismi geneticamente modificati, è possibile, invece, affermare che i prodotti transgenici sono particolarmente resistenti agli antibiotici, che sono aumentati in misura esponenziale i casi di intolleranze e allergie tra le persone, che il mais Gm è resistente al glisofato e che si registra un aumento dei danni al sistema endocrino e al sistema epatico.
Questi dati, già di per sé allarmanti, sono solo una minima rappresentazione di ciò che effettivamente si conosce sugli Ogm e poiché la scienza è ricerca di verità, il dubbio può essere superato soltanto attraverso una intensa attività di sperimentazione condotta nel lungo periodo. Un aspetto sul quale si continua a porre l’attenzione è quello della impossibilità di valutare gli effetti di questi organismi sulla base del principio della equivalenza sostanziale, perché, sebbene la composizione chimica dei prodotti Gm e di quelli non Gm sia in molti casi la stessa, non per questo le differenze svaniscono. Bisogna, infatti, considerare che la capacità delle piante transgeniche di resistere agli erbicidi e agli insetti, comporta un trasferimento delle sostanze dalle piante ai batteri del suolo, con conseguente contaminazione delle piante naturali infestanti.
Sul piano economico, tra l’altro, la produzione di Ogm risponde ad un modello di sviluppo contrario agli interessi dell’economia nazionale. L’adozione, a livello internazionale, di regole che hanno cancellato le tipicità e le coltivazioni tradizionali locali, come pure la previsione della brevettabilità del vivente, ha inciso negativamente sulla filiera agroalimentare e sui rapporti all’interno della stessa. Ampio respiro è stato dato alle multinazionali degli agrofarmaci e delle sementi Gm, che sul mercato hanno un valore pari all’85 per cento rispetto a quello dei fattori produttivi non Gm.
Il mercato del transgenico crea una distorsione nei rapporti contrattuali rendendo, paradossalmente, ancora più difficile l’accesso al cibo. Se è vero che l’innovazione è utile quando è accessibile a tutti e quando genera un benessere diffuso, non può certo dirsi che gli Ogm siano una innovazione. Al contrario, la loro gestione è tale da creare un impoverimento e una distruzione generalizzati soprattutto nei Paesi dove è maggiore la richiesta di cibo. Le tecnologie necessarie per la produzione e il costo delle sementi sono talmente inaccessibili agli agricoltori locali da lasciare gli stessi nella più completa disperazione.
D’altro canto, le sementi Gm sono di tipologia non propriamente riconducibile al concetto di alimento: infatti, pur volendo considerare tali il mais e la soia, non possono certo essere destinati all’alimentazione la colza, il cotone o la canapa. Ciò è tanto più vero se si considera che in base ai dati della FAO un miliardo di persone muore perché non ha cibo mentre un altro miliardo muore perché ne mangia troppo.
In questi giorni, inoltre, la Commissione, in risposta ad una interrogazione parlamentare che poneva la necessità di intervenire sulla questione delle autorizzazioni alla coltivazione di mais MON810, ha rilevato che, “nel 2011 la Corte di giustizia europea ha consentito ai tribunali nazionali di controllare la legalità dei divieti nazionali di coltivazione adottati sulla base dell’art. 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003” riconoscendo, in sostanza, il diritto degli Stati di decidere sulle colture geneticamente modificate.
Questi dati devono portare non più soltanto a riflettere, ma ad agire con decisione e senza indugi per dare una risposta a problemi planetari che ogni giorno influenzano la nostra salute e la nostra alimentazione. Ciò che la scienza chiede, dunque, è un confronto leale e aperto sulle questioni delicate e preoccupanti che gli Ogm lasciano ancora in sospeso. Nel frattempo, le precauzioni sono d’obbligo e il transgenico va bandito dai campi.