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OCSE, aggiornamenti su obesità

2 Marzo 2012
OCSE, aggiornamenti su obesità

Certo, i tassi di aumento dell’obesità sono rallentati negli ultimi 3 anni, o addirittura si sono fermati in alcuni paesi come Inghilterra, Francia, USA e Corea: ma un confronto su una scala temporale appena più lunga appare drammatico. Se è vero che fino al 1980 appena una persona su 10 (come media OCSE) era obesa, mentre oggi, in 19 dei 34 paesi OCSE la maggioranza della popolazione è o obesa o sovrappeso.-Inoltre, le previsioni indicano che 2 persone su 3 saranno in tali condizioni entro il 2020, con un ulteriore peggioramento della situazione relativa. Se i dati indicano che è in atto una stabilizzazione delle cifre dell’obesità, intorno ad esempio al 7-8% per la Svizzera, all’8-9% per l’Italia, al 17-18% per l’Ungheria e Inghilterra (22-23%), tuttavia si è ancora lontani da un arretramento

Circa il nostro paese in particolare, se i dati dell’obesità sono in seppur lieve stabilizzazione-flessione negli ultimi 15 anni, per lo stesso periodo le persone sovrappeso aumentano, stabilizzandosi negli ultimi due anni al 45% della popolazione (come la Francia).

Secondo Franco Sassi, Senior health Economist dell’OCSE, "L’Italia è tra i paesi in cui l’epidemia di obesitá tra gli adulti sembra essersi arrestata, per giunta a livelli relativamente bassi rispetto ad altri paesi OCSE (40% sovrappeso, di cui 10% obesi). Ma il livello di obesitá infantile è allarmante, tra i piú elevati nei paesi OCSE, con un bambino su tre clinicamente sovrappeso. Sulla base dei dati esistenti, non é possibile stabilire alcun collegamento tra l’evoluzione dell’epidemia in Italia e specifiche politiche di contenimento dell’obesitá adottate a livello nazionale o regionale. Ma è  certo che gli sforzi devono essere intensificati perché  le cause di passati aumenti dell’obesita’ tra gli adulti come tra i bambini sono tuttora in azione. Un pacchetto di misure che comprenda forme di educazione sanitaria e promozione della salute, anche da parte dei medici di medicina generale, regolamentazione e misure fiscali, eviterebbe 75 000  decessi per malattie croniche ogni anno, a un costo pro capite di circa €17.”

Circa i bambini in sovrappeso/obesi i dati sono allarmanti: in tale gruppo sociale infatti ben il 32,4% dei bimbi ed il 30,9% delle bimbe dai 5 ai 17 anni è in stato critico: terzo paese in area OCSE dopo USA e Grecia.  La cosa è da monitorare con attenzione, in ragione del fatto che i bambini obesi hanno una buona probabilità di mantenere o addirittura peggiorare il proprio peso corporeo una volta entrati nell’età adulta.

Le disparità sociali

Un aspetto delicato e da tempo al centro dell’attenzione riguarda le disparità sociali. Sebbene –stando a dati di nostra produzione-non vi sia al momento nessuna correlazione aggregata tra valore dell’ Indice di Gini (che misura le iniquità del reddito) e la aderenza ad un modello alimentare, come ad esempio la Dieta Mediterranea (almeno, a livello di popolazione nel suo insieme ), è noto che alcuni gruppi sociali risultano più a rischio.

Se l’obesità maschile è cresciuta ad un tasso più elevato di quella femminile, ciononostante tra le donne l’obesità risulta più diffusa che non tra gli uomini.  Le persone meno istruite e più povere sono a maggiore rischio obesità. Se le donne meno istruite hanno dalle 2 alle 3 volte più possibilità di essere obese, negli uomini non vi è tale proporzione.

Nella scorso decennio le disparità non sono diminuite, segnalando che politiche pubbliche redistributive potrebbero in effetti avere un effetto positivo anche indiretto sul contenimento dell’obesità e sovrappeso. Oltre il 40% di coloro oltre una certa soglia di obesità non lavorano (il 30% delle donne). Negli USA una persona obesa guadagna mediamente il 18% in meno di un normopeso.

 Le politiche pubbliche: luci ed ombre

Se quindi il trend è chiaro, meno chiari sono i risultati delle politiche pubbliche che sono state iniziate da diversi paesi in risposta al problema. Nel 2010 l’OCSE ha chiesto un forte intervento per ridurre obesità e sovrappeso. I risparmi annuali in termini di vite umane sono stati stimati in 155 000 per il Giappone, in 75000 per l’ Italia, 70 000 per il Regno Unito.

Oltre a educazione ed informazione alimentare, utili ma intrinsecamente difficili da valutare negli effetti, vi sono programmi più strutturali e che prevedono l’uso di tasse: tuttavia sono ancora considerate dagli esperti OCSE delicati. Le tasse in questione son quelle ad esempio su cibi a vario titolo considerati come poco salubri (come quelli ricchi di grassi saturi, ad alto contenuto di sale, caffeina, o ancora, tasse su bibite gasate zuccherate come introdotte in Francia di recente).

Tra gli aspetti che vorrebbero considerati con maggiore approfondimento, il fatto che sono imposte regressive (colpiscono cioè di più coloro che hanno un reddito più basso, in quanto applicate a generi alimentari), e possono avere un effetto distorsivo (aumentando il costo di un cibo, anziché consumarne di meno come ci si aspetterebbe i consumatori diminuiscono il consumo di alimenti più sani come frutta e verdura).

Un aspetto interessante è che –contrariamente alle attese- la crisi economica degli ultimi 2 anni non ha affatto aumentato l’obesità, in ragione del supposto aumento del consumo di junk food in sostituzione di cibi più sani ma anche più costosi.

Le esperienze nazionali: come valutarle?

Alcune esperienza tuttora in corso vedono impegnati alcuni paesi nella fiscalità su junk food (Francia, Finlandia, Danimarca e Ungheria), mentre altri paesi stanno valutando seriamente se introdurre o meno (Italia, Regno Unito, Belgio, Irlanda, Romania, USA)

Danimarca: è prevista una tassa su grassi saturi nei cibi pari a circa 2,15 euro per kg di saturi. Il che dovrebbe voler significare un aumento del 30% del prezzo del burro, ma anche del % del prezzo dell’olio di oliva.

Finlandia: tassa di 0,75 euro per kg di caramelle, e di 7,5 centesimi per litro sui soft drinks (da 4,5 precedenti)

Ungheria: tassa su alimenti ad alto contenuto di sale, caffeina, zucchero. Non si applica su materie prime ma solo per alimenti per i quali esistono alternative migliori.

Francia: tassa di 0, 072 euro per litro di soft drink (ci si attendono 280 milioni di euro all’anno di introiti).

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