ARTICOLO | Archivio

“Naturale”: gli USA regolano uso del termine

28 Novembre 2013
“Naturale”: gli USA regolano uso del termine

In Europa è un aggettivo strettamente regolato, e consentito solo per indicare prodotti “al naturale” (es, in scatola)  o claims salutistici. O per segnalare che alcuni nutrienti/ingredienti sono presenti nel prodotto senza bisogno di essere aggiunte o sottratti (“naturalmente ricco di calcio”, “naturalmente a basso contenuto di zucchero”, etc). Manca invece ancora una normativa armonizzata per utilizzare “naturale” come claim generico, riferendolo a prodotti appunto supposti “naturali”. E così, gli operatori commerciali e produttori si comportano seguendo il buon senso (o talvolta, il fiuto di marketing).

Ora negli USA, il Congresso ha introdotto una nuova norma per regolare meglio e con una definizione giuridica, il termine “naturale”, dopo un super-abuso nel corso degli anni. Aggettivo messo alla graticola dall’opinione pubblica: in ragione dell’assenza di una normativa federale vincolante. Il termine avrebbe un mercato di 40 miliardi di dollari, ben più dei 32 destinati al mercato del biologico. La notizia è stata ripresa dal Newsweek (“The unnatural death of “natural””).

I proponenti del “Food Labeling Modernization Act”  sono i deputati Frank Pallone e Rosa DeLauro: che hanno inteso innovare una normativa obsoleta e risalente per lo più al 1938,  con la Food Drug and Cosmetic Act (qualche cambiamento c’è stato, ma solo nel 1990). Necessario quindi prendere in mano la materia.

La FDA

In passato la Food and Drug Administration aveva riconosciuto come fosse “difficile definire un prodotto che è “naturale”, in quanto il cibo è stato probabilmente trasformato e non è più un prodotto della terra”. Giustificazione a dire il vero un po’ semplificatoria (non tutti i prodotti sono trasformati; ciononostante è pur sempre vero che anche i prodotti trasformati affondano le loro radici in alimenti naturali poi lavorati). Giustificazione poi, che non ha definito una volta per tutte la materia, se è vero che oltre 100 sono i casi legali che sono stati sollevati negli anni recenti contro imprese che presentavano i propri prodotti come “naturali”. Negli USA giganti come Pepsi Cola  e Campbell’s hanno progressivamente abbandonato tale aggettivo, considerato di appeal ma difficilmente difendibile. Curiosamente, come riportato dal Wall Street Journal, questo accade mentre… si sta preparando un nuovo Bill in materia.

….in Europa

In Europa il termine “naturale” è regolato a livello europeo ma soltanto in casi ben precisi. Si tratta infatti di un aggettivo che è possibile utilizzare qualora si voglia sottolineare che la  valenza nutrizionale di un prodotto deriva dalle caratteristiche intrinseche dell’alimento. Senza che il cibo in questione sia insomma stato previamente addizionato (di vitamine, minerali, etc) o invece “corretto” (togliendo sale, zucchero, etc).  In tal senso- in base al Reg. 1924/2006 della Commissione Europea, tra le menzioni più frequenti che è possibile trovare in etichetta troviamo “ fonte naturale di vitamina E”, oppure “naturalmente ricco di omega 3”, o “naturalmente a basso contenuto di sale”. Ma pochi altri usi sono consentiti, almeno a livello ufficiale europeo. Tra cui quello della normativa settoriale sugli aromi, distinti in naturali e in semplici “aromi” dalla revisione –scompare la declaratoria del termine “aromi artificiali”. Inoltre, resta inteso che il termine “al naturale” va a caratterizzare alimenti conservati (ad esempio sott’olio) cui non sia stato aggiunto null’altro che acqua e sale (“tonno al naturale”). Ma qui ovviamente la naturalità in quanto tale c’entra poco, rilevando piuttosto la presentazione del prodotto.  Infine, le acque minerali possono essere definite “naturali”, ricorrendo i presupposti depositati dalla legge.

Tuttavia in Italia il claim generico “naturale” sconta un vuoto normativo: in parte dovuto alla difficoltà d’uso e di differenziazione del termine, con problemi concettuali e più in genere filosofici su cosa sia naturalità e invece innaturalità. In parte poi le difficoltà sembrano dovute alla esplosione della produzione biologica in Italia che rimane il primo paese per superficie dedicata al bio in Europa con 1.167.362 ettari (e chi vuole prodotti “naturali”, sceglie così il Bio). Infine, la difficoltà giuridica rimane. E condiziona gli operatori del settore. A differenza infatti di Regno Unito e Francia, dove il termine “naturale” è stato regolato tramite apposite linee guida, in Italia non vi è nulla di tutto ciò.

Regno Unito e Francia

Un’ipotesi pragmaticamente intesa, in assenza di più cogenti norme nazionali ed europee- rimane quella di favorire, a partire dagli operatori del settore, linee guida specifiche. In grado di creare un consenso di massima tra produttori e addetti ai controlli su quali profili di informazione al consumatore considerare corretti o invece scorretti”, commenta Luca Bucchini, Managin Director di Hylobates Consulting.

Così, nel Regno Unito le Linee Guida preposte riservano l’uso del termine naturale (insieme a criteri come “puro”, “fresco”, “tradizionale”, “originale”- ma anche “autentico”, “genuino”, “reale” o “agricolo” (farmhouse) a ben precisi prodotti.

“<naturale>> significa essenzialmente che il prodotto comprende ingredienti naturali, ovvero ingredienti prodotti dalla natura e non dal lavoro dell’uomo o dall’interazione dell’uomo. E’ fuorviante usare il termine per descrivere alimenti o ingredienti che utilizzino sostanze chimiche per cambiare la composizione o che comprendano i prodotti di nuove tecnologie, come additivi o aromi derivati da sostanze chimiche o estratte con processi chimici”.

Resta apparentemente inteso allora che uno yogurt con aroma artificiale non possa usare il claim “naturale”; ma nemmeno un olio vegetale generico, ottenuto quindi per processi chimici e usando solventi.

Processi come la pastorizzazione, sterilizzazione, il congelamento e la concentrazione invece possono ammettere il termine naturale (esempio: “succo di limone naturale pastorizzato”), contemperando esigenze di sicurezza alimentare con aspetti di marketing.

Certo, le interpretazioni ci possono essere (un procedimento meccanico, come per l’estrazione dell’olio extravergine è naturale o meno?) ma restano al bando gli OGM e gli animali clonati.

In Francia, le cose procedono su due livelli. In primis bisogna considerare se le caratteristiche intrinseche dell’alimento in questione possono farlo connotare come “naturale”. Poi, appurato questo primo aspetto, bisogna considerare se tali caratteristiche possano essere sensatamente comunicate al consumatore, garantendo che prodotti simili non appaiano discriminati.

Circa la trasformazione, la legge francese prevede che possano continuare a fregiarsi del termine “naturale” alimenti che abbiano subito processi “leggeri” e non in grado di apportare una modificazione profonda dell’alimento (tagli, molitura, decorticazione, etc). Trattamenti termici e refrigeranti sono parimenti ammessi. Come la torrefazione, la fermentazione, l’infusione. Sono invece espressamente contradditorie rispetto a “naturale” processi come la liofilizzazione, la ionizzazione, la sintesi chimica, l’idrogenazione, l’osmosi inversa, l’estrazione con solventi e l’ingegneria genetica, tra le altre.

Link di interesse 

Aromi, Regolamento (CE) 1334/2008

Altri usi di "naturale": Regolamento (CE) 1924/2006