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La ricerca del Vero Costo del Cibo: Sustainable Food Trust

17 Dicembre 2013
La ricerca del Vero Costo del Cibo: Sustainable Food Trust

Bisogna rendere evidente, dare un significato economico visibile in contabilità, al vero valore del cibo. Questa mozione, da tempo sostenuta da diversi pensatori (tra cui Tim Lang, che aveva condiviso con Coldiretti Sicurezza Alimentare un suo punto di vista). Occorre, così facendo, passare da costi “esternalizzati” (e verosimilmente scaricati su qualcun altro: le prossime generazioni come le popolazioni di altri continenti) a costi “internalizzati”, in grado di tenere in considerazione tutte le risorse consumate utilizzare per produrre cibo. Diritti sociali, ambiente, degradazione delle acque e del suolo, ma anche selezione di “superbatteri” tramite allevamenti troppo intensivizzati: solo per indicarne alcune. Sono parte di queste risorse consumate senza troppa responsabilità da filiere agroindustriali lunghe e globalizzate, onnivore, e non sempre interessate all’orizzonte temporale di lungo termine. Per contrastare questo processo dettato da un liberismo economico estremo, si è impegnato il think tank indipendente Sustainable Food Trust, che al suo interno vanta personalità di spicco (tra cui lo stesso Tim Lang)

Abbiamo intervistato Richard Young, Policy Coordinator at the Sustainable Food Trust e già presidente del Soil Association’s Symbol Committee, che ha contribuito a definire gli standard dell’agricoltura bio negli anni ’80. Dopo che in questi giorni è stata lanciata l’iniziativa “La vera contabilità del cibo e dell’agricoltura”.

D: L’immagine illuminata fornita negli ultimi anni da Raj Patel, di un Big Mac con un costo reale di 200 $ – è diventata popolare. Tuttavia, noi agricoltori di Coldiretti abbiamo chiesto alla FAO di lavorare su èper arrivare a produrre il vero costo finale delle principali matrici alimentari a livello mondiale, in modo da renderle comparabili). Quanto siamo lontani da questo obiettivo?
 
Realisticamente siamo ancora in qualche modo lontani dall’ essere in grado di riprodurre i veri valori del costo di produzione degli alimenti, con precisione. Questo perché i veri costi di alcuni problemi non sono ancora noti e variano anche tra aziende e secondo modalità che non sono ancora pienamente comprese. Tuttavia, speriamo che portando influenti organizzazioni agricole sostenibili al nostro evento’ Accounting True- cost in Food and Farming’, questi costi nascosti inizieranno a diventare più chiari: consentendo di cominciare a predisporre infrastrutture analitiche quali schede economiche. Utili per aiutare  i produttori alimentari e gli agricoltori a capire il vero costo di allevamenti, colture e modalità produttive sostenibili, e così di sfondare nel mercato mainstream.

 
D: Quali sono le grandi sfide di questo? Possiamo ricavare un quadro fedele di "costi internalizzati"? C’è un rischio di sovrastima o meglio, sottostima dei costi?
 
La grande sfida  nello sviluppo di un sistema di contabilità sul “vero costo” è quella di quantificare i costi degli impatti ambientali che circondano la produzione alimentare. Non saremo mai in grado di mettere i costi precisi su tutti gli aspetti dell’agricoltura, ma attraverso la ricerca possiamo avvicinarsi ad un sistema più preciso che consentirà ai produttori alimentari sostenibili di competere con i produttori di alimenti di grandi dimensioni e così facendo, essere pienamente competitivi mercato mainstream. Un’altra grande sfida è aiutare il pubblico ed i politici a capire il motivo per cui è nel loro interesse sostenere questo movimento verso modalità più sostenibili di produrre cibo, considerando l’ impatto che il nostro sistema alimentare attuale sta avendo per l’ambiente e la salute umana.

 
D: Nelle economie occidentali la quota di bilancio familiare destinata all’alimentazione è diminuito negli ultimi decenni. E i consumatori, anche a causa di politiche del retail ("prezzi bassi , tutti i giorni"), si aspettano che il cibo possa costare sempre meno. Ad oggi, tutto questo ha consentito di continuare a esternalizzare i costi altrove ( paesi terzi, ma anche sull’ ambiente, ecc), avvantaggiandosi di standard ambientali, produttivi e di sicurezza alimentare o benessere animale più permissivi. Questo rappresenta una bomba ad orologeria (futuri costi, disastri ambientali, erosione del suolo…) in contesti dove il costo del cibo è già oggi relativamente più alto che nei paesi occidentali. Quali sono le forze globali e regionali in grado di porre rimedio alla situazione attuale ?

In termini reali, il cibo è molto più conveniente di quanto non fosse 50 anni fa. Tuttavia, la maggior parte dei consumatori non ha idea che in realtà sta già pagando per il cibo tre volte – in primo luogo alla cassa, attraverso l’IVA che finanzia la politica agricola comune, in secondo luogo attraverso le tasse, e in terzo luogo attraverso premi assicurativi e tariffe dell’acqua. Le tariffe dell’acqua sono usate per ripulire l’inquinamento dei corpi idrici dai prodotti chimici agricoli, e per far fronte alle inondazioni improvvise, spesso causate dai cambiamenti di uso del suolo. Le spese di assicurazione sono utilizzati per affrontare questioni come la malattia del bestiame da acqua potabile inquinata, e problemi di salute umana, come il diabete di tipo 2 e l’obesità causati dalla nostra dieta malsana.

I prezzi del cibo stanno aumentando in ogni caso, ed essi continueranno ad aumentare, perché il modo in cui produciamo cibo spesso non è sostenibile. I costi degli input sono aumentati perché stiamo danneggiando i terreni, e un uso intensivo di risorse come i fertilizzanti minerali, l’acqua e combustibili fossili. Alcuni prezzi di prodotti alimentari sono in aumento anche a causa della penuria dei raccolti a seguito di eventi meteorologici più estremi, come siccità e inondazioni. Questi eventi diventeranno sempre più probabili a causa del cambiamento climatico, alla quale l’agroindustrializzazione ha contribuito notevolmente.

Altri costi alimentari sono in aumento perché stiamo danneggiando gli ecosistemi preziosi con tecniche agricole non sostenibili. Il numero deglii impollinatori per esempio è in grave declino in molti paesi. Ciò è dovuto alla perdita di biodiversità vegetale e quindi al declino delle popolazioni di api.

4 . Gli agricoltori europei stanno cercando di spingere la Commissione Europea a richiedere un nuovo corso normativo, in grado di affrontare il grande problema  delle "pratiche commerciali sleali" (vendite sottocosto, sconti duri chiesti agli agricoltori-fornitori, il contributo permanente sulla vendita di prodotti, il pagamento di corrispettivi per la messa a scaffale degli stessi, ecc) e per favorire così una più equa trasmissione dei prezzi lungo la catena alimentare. Pensi che l’attuale mercato alimentare UE sia "drogato" da prezzi bassi? Come possiamo fare per invertire questo ?
 
Sì. Il problema più grande è che i politici sono eletti solo per una  breve durata e le loro possibilità di crescita e rielezione aumentano se sono visti come responsabili per la riduzione dei prezzi alimentari. La PAC è basata storicamente anche sull’idea di mantenere i prezzi del cibo bassi, sovvenzionando gli agricoltori e favorendo in molti casi un eccesso di produzione. La maggior parte degli agricoltori sono bloccati in una spirale di alti investimenti -e relativi prestiti- e non hanno i mezzi per rompere questo ciclo. C’è una diabolica alleanza e malsana tra i distributori nel mantenere bassi i prezzi alla produzione (ndr farmgate prices) mentre si obbligano le aziende agricole a diventare sempre più grandi per compensare ai margini decrescenti. Ma questo è possibile solo se i costi veri del cibo vengono nascosti. L’unica via di uscita allora è invertire questa tendenza.  Insistendo sul fatto che i veri costi di produzione siano calcolati e messi a disposizione dei responsabili politici prima della prossima riforma della PAC. Anche se ciò sta cominciando ad accadere, dobbiamo spingere per assicurarsi che venga davvero portato a termine. La crisi economica attuale dell’area Euro crea sicuramente una resistenza significativa contro l’aumento dei prezzi alimentari affinchè riflettano i veri costi. Ma siccome i prezzi alimentari probabilmente aumenteranno in ogni caso, puo’ essere un buon momento per dimostrare che alla fine, aumenteranno significativamente meno se produciamo cibo sostenibile piuttosto che se andiamo a causare tanti danni collaterali. Fino a quando insomma potremmo tenerli nascosti e non metterli a budget?

Le parole di Young sembrano profetiche, ma la realtà di questi giorni le supporta appieno. La crisi degli allevamenti suini superintensivi, con diverse inchieste giornalistiche (der Spiegel e ripreso da Internazionale) e anche dati scientifici ufficiali (EFSA) che dimostrano l’aumento della resistenza batterica ad antibiotici di nuova generazione (carbapenemase) fanno pensare. Del resto, da diversi anni si sapeva che alcuni “superbatteri” come il Multi-Resistant Staphilococcus Aureus (MRSA) sono più diffusi in ragione di allevamenti super-intensivi, più diffusi -in Europa-, in alcuni stati membri nordeuropei. E’ inutile allora proclamare che per sopravvivere gli allevamenti devono incontrare economie di scala minima efficiente, e che l’Italia è semplicemente in ritardo mentre i nostri allevamenti suini (per lo più conferenti a circuiti DOP, con norme produttive, di qualità e ambientali più stringenti) chiudono. I costi nascosti di molte filiere non solo danneggiano i consumatori, i ricoverati negli ospedali (suscettibili a nuove infezioni: dato in aumento significativo), che vengono a contatto con batteri “monstre”. Ma anche gli stessi allevatori meno intensivi, oggi accusati di non essere abbastanza “grandi” per sopravvivere ad una competizione intrinsecamente sbagliata. Non si tratta di motori e bulloni, ma del vivente. Qui altre logiche dovrebbero esser considerate.

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