Aveva iniziato con un attacco frontale Aseem Malhotra, cardiologo: non vi sarebbero evidenze assolute sul legame tra grassi saturi e infarto al miocardio. Anzi, la colpa sarebbe degli zuccheri, ubiquitari – dalle bibite gassate ai dolci e snack– che sarebbero invece la vera causa della crescita. E Malhotra suggeriva: basta demonizzare formaggi e carne.
Ora una nuova analisi fa emergere ulteriori dubbi stavolta però circa l’assunzione complessiva di grassi, che in base alle linee guida delle autorità nazionali andrebbero comunque limitati, in una forbice compresa tra il 25% ed il 35% del totale delle calorie giornaliere.

In base ad una ricerca pubblicata su Openheart, e condotta a partire solo da Studi Controllati Randomizzati (RCT) infatti, non vi sarebbero forti relazioni tra risultati di salute (mortalità) e introito complessivo di grassi. Di conseguenza le Linee Guida di USA e Regno Unito (che sono quelle investigate dalla ricerca, a confronto con studi clinici) sarebbero state basate su dati non adeguati. Inutile mantenersi al di sotto del 30% delle calorie da grassi, e al di sotto del 10% di quelle da grassi saturi in particolare.
Ma è così?
“Randomised & Controlled Trials” (RCT)
Gli studi randomizzati controllati sono la fonte scientifica più affidabile, in quanto consentirebbero di delimitare con precisione le condizioni sperimentali entro cui si svolge l’analisi, limitando al massimo i fattori di “disturbo” (confondimento) che causano relazioni spurie o apparenti. In tali studi, un numero tutto sommato piccolo di soggetti viene alternativamente assegnato al gruppo di studio o invece di controllo (cui è somministrato o un placebo- o un’alternativa). I soggetti sono distribuiti nei due gruppi in modo da azzerare virtualmente le differenze dovute al caso, al patrimonio genetico individuale (con relative predisposizioni e reazioni personalizzate).

Tuttavia, le Linee Guida per una Sana Alimentazione dei governi, tese a suggerire target nutrizionali per la popolazione nel suo insieme- non sono state fondate a partire da studi controllati randomizzati ma solo su dati epidemiologici– tradizionalmente considerati una fonte “più debole” nell’accertare le cause effettive.
Chi ha ragione?
In realtà, c’è chi obietta all’uso di RCT per scopi così ampi: gli studi analizzati sono pochi (6, dopo averne scrutinati 98), tutto sommato, e limitati- non in grado di riflettere la reale catena di cause di salute.
Infatti la finestra temporale dei RCT è molto ristretta (5,4 anni in media), e non indaga l’impatto di salute nel lungo periodo – e solitamente la dieta sviluppa i suoi effetti proprio nel lungo periodo.
In Europa, non sembra esserci un consenso assoluto sulla quantità di grassi ideale da assumere quotidianamente come percentuale delle calorie totali. Si oscilla di poco, è vero (generalmente, dal 30% al 35%), ma permane una ragionevole divergenza a livello di singoli Stati analizzati. L’Austria, la Danimarca, la Svizzera raccomandano di non superare il 30% dell’energia da grassi, mentre il Belgio il 35%; altri paesi (Svezia, Norvegia e Finlandia, per contro, suggeriscono un intervallo di consumo (dal 25% al 35% dell’energia da grassi).
Colesterolo ematico più basso
Nello studio – sebbene non vi siano differenze apprezzabili tra consumatori ad alto o invece basso consumo di grassi, in termini sia di mortalità complessiva che di malattie cardiovascolari- si è osservata una più marcata riduzione del colesterolo ematico nel gruppo di controllo.
Ora, sebbene i livelli di colesterolo ematico sono generalmente considerati come un indicatore del rischio di malattie cardiovascolari, nello studio non si è evidenziato un aumento della mortalità in ragione di livelli più elevati di colesterolo.