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Gli agricoltori continuano a perdere reddito: solo l’1,5% sul fresco e 40 centesimi sul trasformato

28 Febbraio 2014
Gli agricoltori continuano a perdere reddito: solo l’1,5% sul fresco e 40 centesimi sul trasformato

In base ad uno studio Ismea e Unioncamere (che hanno dato vita all’osservatorio “AgrOsserva”), la quota di reddito che rimane agli agricoltori al netto di tasse, salari e altre spese è pari all’1,8%: troppo poco per considerare redditività l’attività agricola. Che non a caso ha visto nel 2013 chiudere oltre 33.000 aziende.

Questo risulta come una ulteriore contrazione rispetto ai dati precedenti (era il 7,6% nel 200)- e rappresenta l’altra faccia della medaglia di consumi che si contraggono: per il 2013 infatti l’alimentare-in base ai dati Istat- ha visto un calo del 2,3% in quantità e del 3,9% in valore, con il calo maggiore per prodotti ittici (-3,5% in quantità e meno13,2% in valore) ,latte e derivati (-3,9%in quantità e -4% in valore) l’ortofrutta (-2% in quantità e -2,8% in valore).

Ma come si divide il reddito speso dal consumatore, lungo la filiera? Sul prodotto fresco, se nominalmente ai produttori rimangono 22, 5 euro (ma solo 1,8 di “guadagno” vero), l’ingrosso recupera 36 euro, e 25 da altri soggetti della filiera. L’ingrosso però, in vista di costi produttivi più bassi, riesce a immagazzinare ben 15 euro di reddito netto rispetto ai 36 percepiti.

Sul prodotto trasformato le cose vanno ancora peggio, con soli 40 centesimi di reddito percepito su 100 euro spese dal consumatore, contro le 2,3 dell’industria e le 11 euro del commercio.

I produttori agricoli rappresentano la parte strutturalmente più esposta della filiera, con costi degli input agricoli che sono aumentati negli ultimi anni molto più del valore del proprio venduto (come messo in luce dall’Eurodeputato Josè Bovè nella sua relazione del 2010, in ragione della concentrazione di mercato di pochi grandi gruppi a monte. Lo stesso dicasi per la grande distribuzione a valle, che ha aumentato la propria concentrazione di mercato con effetti oligopolistici e discorsivi di una corretta concorrenza. La crisi di redditività è inoltre un riflesso della crisi al credito: dal 2008 si è ridotto del 23% infattiil credito erogato oltre il breve termine.

L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) ha pubblicato la scorsa estate una indagine sulla situazione della distribuzione organizzata in Italia, rilevando aspetti problematici e la possibile presenza di abuso di posizione dominante da parte di alcuni retailer. Di conseguenza la AGCM ha da poco avviato una altra indagine, tesa a investigare le dinamiche di filiera partendo dal principale soggetto intermedio presente in Italia, la Piattaforma contrattuale Centrale Italiana. Che in alcuni territori, e su alcuni format di mercati (come i supermercati o gli iper) raggiunge addirittura il 100% di copertura, in una situazione de facto monopolista. Centrale Italiana è costituita da 5 tra i ‘principali gruppi della GDO italiana e suo compito è spuntare condizioni contrattuali migliori possibili di prezzo e non solo.

Coldiretti sta facendo la sua parte in Europa, chiedendo una riforma complessiva della normativa Antitrust, in particolare contro tutte quelle prassi contrattuali inique che finiscono per scaricare ulteriori costi e rischi imprenditoriali sul settore primario, senza dare vantaggio reale ai consumatori (o come prezzi ridotti o come qualità aumentata).

Durante la crisi economica in particolare la grande Distribuzione sta aumentando progressivamente, come rilevato anche da Il Sole 24 Ore, la “Pressione distributiva”, ovvero la quantità di prodotti costantemente in saldo o sottocosto.

Allo stesso tempo la normativa italiana, il cosiddetto “Articolo 62 del Decreto Liberalizzazioni”, è un buon inizio ma non sembra arginare adeguatamente il fenomeno del sottocosto (si parla infatti nel testo di divieto di “sottocosto palese” e non di semplice sottocosto), che ha ripercussioni negative in termini di qualità della fornitura, con frodi sempre più frequenti e scadimento generale dei prodotti offerti; impedendo inoltre alle imprese sane di sopravvivere.

Sprechi si riducono

Ma sembrano esserci anche buone notizie: in particolare l’Italia continua a fare buone performance con l’export, che aumenta del 4,7% nel corso degli ultimi 12 mesi.

Spunti positivi pure circa gli sprechi lungo la filiera, che dal 2008 al 2011 si è ridotta del 23% la quota di rifiuti prodotti, con un aumento di quelli riciclati pari a 79% del totale rifiuti.