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Brevi: agricoltori europei chiedono filiere più sicure e sostenibili

18 Settembre 2013
Brevi: agricoltori europei chiedono filiere più sicure e sostenibili

Provvedimenti chiari ai fini dell’introduzione di una normativa europea per far fronte alle pratiche sleali e abusive nella catena alimentare: un approccio volontario non è sufficiente. E’ quanto viene richiesto insistentemente dagli agricoltori europei all’indomani dell’inizio dell’accordo volontario europeo tra vari attori della fliera alimentare: promosso per dirimere i rapporti di forza, e cercando semmai di trasformarli in rapporti di collaborazione, tra produzione primaria, industria e retail.

Gli agricoltori europei, come più volte ricordato da queste pagine, non avevano infine aderito all’accordo di governance volontaria, giudicandolo insufficiente in tutta una serie di elementi fondamentali. E dopo che la Commissione Europea aveva riconosciuto le loro buone ragioni, invitando gli altri attori a recepire i suggerimenti.

Tra gli aspetti mancanti,

–          L’anonimato degli operatori commerciali che si lamentano, sottolineando di subire prassi commerciali abusive. Tale anonimato non sembra correttamente garantito dall’accordo europeo; con il conseguente rischio di ritorsioni commerciali (come ad esempio l’esclusione del fornitore da future contrattazioni). Ciò funge da deterrente (“fattore paura”), riconosciuto come uno dei principali motivi di fallimento di azioni normative di repressione;

–          Il reale tenore delle sanzioni per coloro (retailer) che non si adeguano alle buone prassi contrattuali. Sono sanzioni virtuali e non parametrate alla entità del danno. Nel Regno Unito per contro, in base al nuovo Adjudicator Code, vi saranno sanzioni anche pesanti ai trasgressori;

–          I tempi e le modalità di valutazione del successo o meno dell’iniziativa volontaria risultano altamente incerti e arbitrari.

Ad oggi, i difficili rapporti di filiera, con spesso vere e proprie vessazioni in carico agli agricoltori/fornitori,  rappresentano un punto critico. In grado di far esplodere casi di insicurezza alimentare e crisi di fiducia dei consumatori. Il caso dell’Horsegate ne è un chiarissimo esempio, al pari del più recente "Porkgate".

Prezzi bassissimi, selezione degli operatori sulla base delle caratteristiche solo economiche, escludendo i produttori migliori e più attenti. L’aspetto economico non riguarda quindi solo la sopravvivenza economica di tante  imprese della filiera di fornitura alimentare, ma anche inevitabili contraccolpi di food safety e sulla fiducia dei consumatori.

Il presidente del gruppo di lavoro "Catena alimentare" del Copa-Cogeca, Peter Kendall, ha dichiarato: "L’esperienza ci insegna che dei codici di buone prassi nella catena alimentare danno dei risultati per i distributori, i fornitori e i consumatori solo se sono appoggiati da una applicazione e un controllo veri e propri. Il Copa-Cogeca è a favore di una soluzione pratica che unisca legislazione e codici volontari sostenuti da un’applicazione che dia credibilità al sistema.
L’anno scorso il Copa-Cogeca ha deciso di non firmare l’iniziativa volontaria e, finora, non ci sono stati sviluppi nell’iniziativa che giustifichino un cambiamento di posizione. Gli aspetti critici sollevati l’anno scorso restano irrisolti. Il Copa-Cogeca resta a disposizione e aperto al dialogo con tutti i partner della catena alimentare. Siamo convinti che un miglior funzionamento della catena alimentare possa essere raggiunto unicamente con la partecipazione di tutte le parti interessate". In alcuni Stati membri, è già stata introdotta o sta per essere introdotta una legislazione, giacché l’autoregolamentazione risulta inefficace a fronte dell’enorme potere esercitato da un numero ristretto di supermercati.

L’Italia?

Nell’ultimo mese, dopo la indagine conoscitiva della Antitrust italiana, si è venuto a sapere che fatto 100 il valore pagato al fornitore dal distributore, un buon 40 viene chiesto indietro dalla Grande Distribuzione Organizzata per il cosiddetto "trading spending": quei servizi accessori, che dovrebbero servire per meglio commercializzare il prodotto fornito, ma che spesso diventano soltanto un obolo ingiustificato per erodere il valore aggiunto della parte agricola/a monte. Una situazione insostenibile, a detta della stessa Antitrust, che valuterà caso per caso, sulla base delle nuove disposizioni introdotte ex art. 62 del Decreto Liberalizzazioni, la presenza di prassi commerciali inique e rapporti di forza.

In base ai daiti di una ricerca condotta da Cribis D&B, solo il 21,8% delle aziende della GDO rispetta i termini concordati di pagamento ai fornitori. In pratica, una impresa su cinque. 

Il costo della Sicurezza alimentare

Filiera non sostenibili, che scaricano i costi da qualche parte e non remunerano adeguatamente la parte agricola sono prone a incidenti di sicurezza alimentare. Alcune tra le maggiori crisi alimentari di sempre sembrano proprio dovute ad una ricerca esasperata dei abbattimento dei costi produttivi, mantenendo semmai i margini commerciali e “speculando” a danno di produttori primari e consumatori. Ripercorrendo la recente storia degli ultimi anni:

–          Vino al metanolo (anni ’80), in ragione di una minore accisa su metanolo (tipo di alcol) che sugli zuccheri, si sostiuisce l’uva con la sostanza, in grado di aumentare fittiziamente il tenore alcolico.

–          BSE -Mucca Pazza- (anni ’90): la ricerca di costi produttivi sempre più bassi ha portato ad una alimentazione innaturale dei bovini, con carcasse bovine.

–          Diossina in polli e uova (Belgio, 1998, Germania, 2011): le galline ovaiole e da carne sono state nutrite con premiscele a base di oli minerali esausti, con formazione di diossine, e in una logica di minimizzazione dei costi produttivi e del margine degli allevatori.

–          Sudan Rosso (globale- dal 2000 ad oggi): spezie da ogni parte del mondo, colorate con agenti da concia, genotissici e cancerogeni, sempre per diminuire i costi produttivi.

–          Mozzarella blu (2008, Germania) si ricostruiscono artificialmente derivati del latte (formaggi a pasta filata), con cagliate economiche ma che nulla hanno a che fare con la vera mozzarella, che può essere prodotta solo da latte fresco. Le condizioni igieniche approssimative degli impianti produttivi svelano la distorsione economica con conseguente frode.

–          Latte alla melamina (2008, Cina), per aumentare il tenore proteico del latte in polvere, risparmiando, si arriva a tagliare sul latte vero contenuto.

–          Frodi nel pesce: il pescato internazionale (in base a dati sia europei-Irlanda e UK- sia internazionali- Usa e Canada) il pesce che viene spacciato per altro si aggira su un 15%-25% di quello commercializzato. Anche in questo caso, oltre a una minore remunerazione del pesce “vero” corrispettivo, vi sono potenziali aspetti di sicurezza alimentare (esempio, diverso tenore di contaminanti o allergeni tra le diverse specie vendute)

–          Horsegate e Porkgate (UK; 2011 e 2013): speculando sulla produzione primaria e cercando partite di carne ovunque siano più economiche (spesso anche in ragione di “macellazioni di emergenza”, vedi cavalli rumeni), si deprime il prezzo equamente pagato agli allevatori e lo si mette in competizione con “prezzi ombra” riferiti in realtà…. a cose diverse!