Dopo un ritardo di alcuni mesi, la Antitrust italiana ha pubblicato i risultati dell’Indagine conoscitiva sulla concorrenza nel settore della distribuzione: che segnala “ Un aumento del potere di mercato della grande distribuzione organizzata nei rapporti commerciali con i fornitori, anche attraverso un rafforzamento del ruolo delle centrali di acquisto, i cui effetti si riverberano non solo sulle condizioni economiche nel mercato a monte dell’approvvigionamento ma anche in quello a valle delle vendite, con possibili ripercussioni a danno dei consumatori finali.” Conclusioni di un certo peso, e sicuramente attentamente soppesate, se è vero che ci si attendeva la pubblicazione del rapporto per febbraio-marzo. Nel 2012 uno studio italiano aveva sottolineato la presenza di opacità e inefficienze nella filiera alimentare, mentre i dati ISMEA segnalavano un deterioramento dei margini agricoli rispetto agli anelli successivi della filiera.
La fotografia scattata, descrive un’Italia con una concentrazione oligopolistica della distribuzione tutto sommato limitata, con 18 player che arrivano al 90% del mercato ( e solo 2 con una quota maggiore del 10% -per fare un confronto rapido, nel Regno Unito i primi 4 retailers coprono il 70% del mercato). Ma lascia alcune ombre sul campo. In particolare, le centrali di acquisto, 7- cioè le piattaforme commerciali intermedie deputate ad acquisti cumulati con i fornitori- assommano 21 distributori, e coprono oltre l’80% del mercato. Questo aspetto di concentrazione è potenzialmente foriero-chiarisce la Autorità- di aspetti delicati da un punto di vista della normativa concorrenziale, e più in generale, di un danno per i fornitori della distribuzione stessa. Ma anche i consumatori- continua la relazione dell’Antitrust- potrebbero subire danni, o non ricevere benefici- dalle dinamiche recenti.

“L’Autorità valuterà con attenzione i nuovi assetti di mercato, intervenendo anche con i nuovi strumenti previsti dalla normativa”, si legge nelle conclusioni.
Il nostro paese sarebbe inoltre sempre più coinvolto, a quanto si apprende, da rapporti difficoltosi tra fornitori (tra cui anche gli agricoltori) e distributori.
Tra le dinamiche problematiche che ‘Antitrust segnala, anche l’insieme di compensi che la distribuzione chiede ai fornitori per servizi- presunti o reali- della messa a scaffale (“trade-spending”), che lungi dall’abbattere i costi finali per i consumatori, sono diventate qualcosa di ormai obbligato ma senza un aumento dell’efficienza.
Antitrust pronta a farsi valere: la tutela dei produttori e dei consumatori
<< L’Autorità, alla luce dell’incremento del potere di mercato della GDO dal lato della domanda (c.d buyer power), ricorrerà a tutti gli strumenti di intervento previsti dalla normativa a tutela della concorrenza, valutando gli eventuali effetti anticompetitivi sul benessere del consumatore non solo in un’ottica di breve periodo ma anche di medio-lungo periodo.>>.
Dichiarazioni importanti. E quel “lungo periodo” fa pensare a qualcosa che ha a che fare con la sostenibilità economica delle filiere alimentari, in particolare circa prezzi più equi da garantire ai produttori –fornitori, che rischiando di finire “fuori mercato” e di chiudere, possono pro futuro limitare l’offerta di prodotti e beni non sempre sostituibili. Non a caso, continua l’AGCM,
<< In materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, accanto agli strumenti tradizionali (valutazione preventiva delle concentrazioni, accertamento e sanzione di intese e abusi) l’Autorità dispone ora di una nuova leva d’intervento costituita dall’articolo 62 della legge n. 27/2012, che le consente di sanzionare condotte che rappresentano un indebito esercizio del potere contrattuale dal lato della domanda a danno dei fornitori. Grazie a questo nuovo potere, complementare rispetto a quelli già previsti dalla normativa antitrust, l’Autorità potrà intervenire per proteggere l’interesse pubblico rappresentato dal corretto assetto concorrenziale del mercato quando le relazioni commerciali di natura verticale (non qualificabili come intese verticali o come abusi di posizione dominante) tra GDO e fornitori producano indirettamente effetti negativi “apprezzabili” su tale assetto.>>
.jpg)
Ma l’Antitrust va oltre: e dichiara apertis verbis che le “prassi commerciali inique” paventate dall’Art. 62 del decreto Liberalizzazioni ( e agganciate al Voluntary Framework dell’High level Group a livello europeo), – che scaricano costi o rischi sui produttori-, costano qualcosa come un 40% delle condizioni economiche trattate. Tra queste prassi di contrattazione:
1) condizionare l’acquisto dei prodotti alla vendita del pacchetto di servizi;
2) imporre prezzi di vendita sganciati dalle caratteristiche dei servizi e dall’effettivo vantaggio che da essi deriva al fornitore;
3) fornire controprestazioni inadeguate al compenso versato, risultando peraltro la verifica di tale adeguatezza non sempre agevole per un piccolo produttore.
La Relazione dell’Antitrust, a lungo aspettata e certamente benvenuta, promette per l’Italia l’adozione della fattispecie giuridica dell’ “abuso di posizione dominante”: con sanzionabilità da parte dell’AGCM di quelle catene distributive che pure non cadendo in prassi anticoncorrenziali standard come definite dalla normativa vigente, possono abusare contrattualmente di un fornitore all’atto pratico, qualora questi dipenda esclusivamente dagli acquisti del distributore e non possa trovare sbocchi di vendita alternativi. Meno teoria (e astratti principi econometrici, come la definizione di oligopolio o monopolio) e più realtà: sembra essere questo insomma il messaggio.
Si tratterà di vedere quali saranno i risultati concreti e le linee di azione dell’antitrust, quindi, da qui ai prossimi mesi.