ARTICOLO | Biologico

Al via l’applicazione della legge quadro sull’agricoltura biologica e biodinamica

4 Aprile 2022
Al via l’applicazione della legge quadro sull’agricoltura biologica e biodinamica

E’ stata finalmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, dopo anni di discussioni a livello Parlamentare, la legge quadro sull’agricoltura biologica (Legge 9 marzo 2022, n. 23 (Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico) che si è andata consolidando nel tempo come un metodo di produzione ad elevati standard di sostenibilità ed innovazione se si guarda alla realtà di molte imprese, in particolare a quelle guidate da giovani, nelle quali emerge una vitalità e una ricchezza di esperienze molto avanzate che possono stimolare soluzioni originali anche in altri settori entro e oltre la filiera agroalimentare.

Si pensi, ad esempio, agli spunti derivanti dalle sperimentazioni nell’ambito dell’economia circolare o all’utilizzo di risorse biologiche rinnovabili in collegamento con i settori della chimica bio-based, del tessile e della moda. Secondo le ultime rilevazioni del Sinab, sulla media nazionale del 16,6% di superficie biologica in rapporto alla superfice agricola utile sono già quattro le regioni che hanno raggiunto gli obiettivi previsti dalla Farm to Fork (25% della SAU a bio) per il 2030: Calabria 33,7%, Toscana 27,3%, Sicilia 26,6% e Lazio 26,1%. Tali dati dimostrano non solo che gli obiettivi della strategia europea sono alla portata del nostro Paese, ma anche che tali interventi strutturali erano necessari per favorire la costituzione di specifiche filiere biologiche del Made in Italy e sostenere la commercializzazione del prodotto valorizzato attraverso la certificazione del bio.

L’Italia, paese leader in Europa per numero di imprese impegnate nel biologico, attendeva la normativa di settore dell’agricoltura biologica da anni. Si tratta di un sistema che impegna oltre 80mila operatori a livello nazionale con consumi in crescita a due cifre per un totale stimato in oltre 3,3 miliardi di euro, sotto la spinta della svolta green negli acquisti indotta dalla pandemia.

Il modello agricolo italiano promosso da Coldiretti rappresenta un esempio di questa creatività che si fonda sull’esperienza degli agricoltori – che soffrono direttamente le conseguenze dei cambiamenti climatici e dell’impoverimento delle risorse naturali – e richiede forme aggiornate di dialogo tra le imprese agricole e la ricerca scientifica più progredita di Enti e Università.

Il settore è stato recentemente riformato a livello legislativo con il Regolamento (UE) n. 2018/848/UE del Parlamento europeo relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, entrato in vigore dal 1° gennaio 2022.

Il Parlamento italiano è intervenuto in materia di agricoltura biologica per la prima volta nel 1995, pochi anni dopo l’emanazione del primo Regolamento europeo sul biologico, per definire il sistema di controllo e certificazione nel nostro Paese. Nel corso degli anni sono state portate avanti diverse proposte e tentati diversi iter parlamenti nessuno dei quali, tuttavia, ha portato a un atto concreto fino ad ora.

La soluzione agli innumerevoli tentavi falliti in precedenza per dare una norma più ampia al settore, è stata la separazione degli interventi normativi: da un lato il decreto legislativo n. 20/2018, che ha riscritto le regole per il controllo e certificazione del biologico e, dall’altro, la legge in questione che definisce gli strumenti operativi e finanziari per lo sviluppo del settore.

L’approvazione di tale provvedimento rappresenta un segnale importante per completare, anche in Italia, il quadro normativo di settore, atteso dagli operatori da molti anni, al fine di assicurare organicità al sistema e rendere maggiormente operativa la filiera dell’agricoltura biologica.

La legge sul biologico ha particolare rilevanza non solo nell’interesse delle aziende che producono biologico, quanto piuttosto per rispondere alle richieste dell’Europa. Per dare concretezza al Green Deal, è importante agevolare la transizione al biologico di parte delle nostre produzioni attraverso norme precise. Le imprese fino ad oggi hanno mostrato difficoltà a causa di un vuoto di carattere normativo a cui è stato finalmente posto rimedio.

Il testo prevede elementi particolarmente significativi, fortemente voluti da Coldiretti, per consolidare il primato del biologico italiano, ma sui quali sarebbe opportuno lavorare ulteriormente.

La novità principale consiste nell’introduzione – all’articolo 6 – di un marchio biologico italiano per contrassegnare come 100% Made in Italy solo i prodotti biologici ottenuti da materia prima nazionale. La necessità di istituire un marchio per la valorizzazione delle produzioni italiane appare strettamente connessa alle spinte concorrenziali presenti nel mercato del biologico, che impongono di distinguere l’elevato standard qualitativo delle nostre produzioni ed assicurare agli imprenditori agricoli un vantaggio economico nella promozione di un sistema di produzione a basso impatto ambientale e nella diversificazione di una produzione di qualità con forte connotazione territoriale.

Tale previsione, tuttavia, desta perplessità nella parte in cui ne è previsto l’impiego su base volontaria, dato che l’articolo 32, par. 1, lett. b) del reg. (UE) 2018/848/UE prevede, per i prodotti preimballati, che oltre alle indicazioni obbligatorie di cui al presente articolo, sia riportato anche il logo di produzione biologica europea di cui all’articolo 33 il quale, al paragrafo 5, dispone che «nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità di prodotti conformi al presente regolamento possono essere utilizzati loghi nazionali e loghi privati». Appare evidente, dunque, che nel caso in cui tutte le materie prime agricole di cui il prodotto è composto sono state coltivate in un Paese, oltre alle indicazioni obbligatorie di cui all’art. 32 dovrà essere obbligatoriamente riportato anche il logo nazionale, senza lasciare alla discrezionalità dell’operatore la scelta di avvalersi o meno del segno nazionale.

L’articolo 9 della legge in esame disciplina il Fondo per lo sviluppo della produzione biologica, istituito con l’art. 59 della legge 23 dicembre 1999 n. 488 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (Legge finanziaria 2000). L’articolo in questione lascia invariate le somme che derivano da una tassa di scopo con un prelievo del 2% sulle vendite di prodotti fitosanitari di elevata tossicità. L’introduzione dell’articolo non appare quindi particolarmente innovativo, essendo il relativo istituto già in vigore da circa 20 anni. Tuttavia, fino ad ora, tale tassa è stata utilizzata solo in minima parte per finanziare effettivamente la ricerca in agricoltura biologica: a fronte di circa 11 milioni annui che arrivano nel bilancio dello Stato ne vengono effettivamente utilizzati per la ricerca del biologico solo circa 4. Innovativa, quindi, è la previsione che impone di indirizzare, in via esclusiva, tutte le risorse che derivano da questa tassa di scopo al finanziamento di iniziative per lo sviluppo del Piano d’Azione Nazionale per la produzione biologica e i prodotti biologici, del Piano Nazionale delle Sementi biologiche, delle iniziative volte alla realizzazione del marchio biologico italiano e dei programmi di ricerca e innovazione nel settore della produzione biologica.

Infine, all’articolo 19, si sostiene anche l’impiego di piattaforme digitali per garantire una piena informazione circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti, delegando al Governo a rivedere la normativa sui controlli e garantire l’autonomia degli enti di certificazione.

L’agricoltura “biodinamica” con la relativa associazione di rappresentanza trova riconoscimento nella partecipazione al tavolo tecnico istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nonché nell’ambito del Piano nazionale delle sementi biologiche finalizzato ad aumentare la disponibilità di sementi per le aziende e a migliorarne l’aspetto qualitativo e quantitativo con riferimento alle varietà adatte sia al comparto del biologico che appunto dell’agricoltura biodinamica. Quest’ultima è diffusa in Italia, con circa 4.000 aziende che la praticano, con un fatturato importante ed in forte crescita, soprattutto nei mercati del nord Europa. Nelle aziende biodinamiche si pratica un metodo produttivo, il cui obiettivo è la sostenibilità, di elevatissimo valore ambientale ed economico, la cui applicazione consente di ottenere prodotti di eccellenza qualitativa, apprezzati in ogni parte del mondo.

L’agricoltura biodinamica risulta in costante aumento negli ultimi anni e pone l’Italia tra i primi Paesi produttori, collocandola al vertice dei Paesi esportatori. Secondo un’analisi Coldiretti, in Italia le aziende biodinamiche sono raddoppiate dal 2007 al 2017 e, nel primo semestre del 2018, le nuove richieste di certificazione biodinamica sono state pari al 35% del totale dei produttori già certificati. Si tratta di dati che confermano il carattere strategico del settore biodinamico, soprattutto se si considera la difficoltà di accedere alla certificazione: i disciplinari dell’agricoltura biodinamica prevedono, infatti, regole ancora più restrittive di quelle disposte a livello europeo per il biologico. Si pensi, ad esempio, che il numero totale delle sostanze (concimi, ammendanti, antiparassitari e prodotti fitosanitari) ammesse dai disciplinari Demeter sono 10 a fronte delle 69 autorizzate nel biologico dal Regolamento (CE) n. 889/2008, ora sostituito dal Regolamento (UE) n. 848/2018.

Alla luce di tali considerazioni sarebbe auspicabile, pertanto, tornare a discutere, nelle opportune sedi, di meccanismi di tutela e sviluppo delle forme di agricoltura biodinamica che – come accennato – costituisce la forma più diffusa e ad elevato valore ambientale in Italia di agricoltura c.d. “alternativa”.