Anche al Vinitaly sono state esposte sambuche colorate e perciò false, in palese violazione delle norme UE a tutela del liquore italiano più celebre.
La Commissione europea è stata più volte sollecitata, anche tramite interrogazioni del parlamento europeo, ma l’euroburocrazia e’ ancora sorda alle istanze di doverosa tutela della vera sambuca.
La vicenda non è nuova: è noto da tempo (vedi articolo di Repubblica) il commercio in Europa di bevande presentate come “sambuca” senza tuttavia rispettare i requisiti di cui al regolamento (ce) 110 del 2008. Una frode in commercio su larga scala: cui si aggiunge la truffa aggravata nei confronti dei consumatori a cui tali bottiglie vengono presentate con nomi di frutti di cui manca alcuna traccia nei prodotti.
Secondo la ricetta tradizionale, e le norme europee che vi hanno provveduto tutela, la sambuca deve anzitutto essere incolore. Ma in commercio se ne vedono…. di tutti i colori, letteralmente: rosso, verde, blu, rosa, nero … una barbara contraffazione che stravolge la natura propria del liquore tipico italiano, e le sue tradizionali modalità di consumo. Non più una bevanda da sorseggiare dopo pasto in piccole quantità, ma un super-alcolico qualsiasi da destinare a ‘shots’ e ‘binge-drinking’. Ciò che è più grave, i contraffattori non si trovano solo in paesi lontani, come il Sud-Africa, ma anche in Italia. I NAS di Torino sono intervenuti nei mesi scorsi con un primo sequestro. Ma la vicenda è solo agli inizi.
Defra e commissione europea: prime reazioni
La segnalazione della frode è giunta sia alla Commissione europea che alle amministrazioni nazionali competenti. In gran Bretagna, il Dipartimento per l’Alimentazione e gli Affari Rurali (Defra) ha diramato apposite circolari per identificare le bevande fuori-legge e sanzionare le frodi. In linea con il regolamento europeo: il termine sambuca può venire ammesso in denominazione di vendita a condizione che si tratti di liquore incolore, con tenore alcolico non inferiore a 38′ e una tassativa, immodificabile lista degli ingredienti. Ma non si ha notizia di effettivo nè tantomeno efficace intervento delle autorità britanniche, a tutt’oggi.
La reazione della Commissione europea é stata ancor più deludente.
Diversi eurodeputati italiani, a partire da Giancarlo Scottà – che, ricordiamo, fu anche il primo a denunciare i ‘wine-kit’ – hanno ripetutamente segnalato le frodi in essere relative alla sambuca. In particolare, Scottà ha lamentato l’appeal visivo delle false sambuche, aromatizzate e colorate illegalmente, che sembra così voler attrarre un maggiore consumo giovanile, attentando alla salute pubblica e favorendo il binge-drinking presso i giovani. Sono seguiti gli interventi degli onorevoli Mara Bizzotto, Iva Zanicchi e vari altri, con un ulteriore sollecito da parte di Giancarlo Scottà al commissario Ciolos.
La risposta della Commissione.
Se Dacian Ciolos –commissario all’agricoltura UE – inizialmente ha supportato la normativa europea, la risposta alle successive interrogazioni parlamentari (in data 9 aprile scorso) è stata a dir poco evasiva.
La Commissione- contrariamente a quanto fatto dal Regno Unito- continua a tergiversare, quasi a voler ignorare la gigantesca frode a danno del liquore tipico italiano per antonomasia. Nella sua ultima risposta la Commissione non offre i riscontri più volte sollecitati sui controlli presso gli stati membri e addirittura osa introdurre un concetto secondo cui si potrebbe… salvare bevande alcoliche che pur non essendo sambuca in senso stretto, siano “a base di sambuca”, purchè questo sia …in qualche modo… fatto capire…
Ma nell’ardire questo teorema, la Commissione è stata costretta ad aggrapparsi ad una normativa, il Reg. (UE) 716/2013, che é ancora privo di efficacia, poiché entrerà a regime solo tra 11 mesi. E’ la normativa sui c.d. “termini composti” che, con una sorta di raggiro nella denominazione di vendita, consentirebbe al commissario un “salto mortale carpiato triplo” rispetto alla logica che presiede alla tutela delle bevande tradizionali tipiche: (essendo sufficiente come requisito, ad esempio, che la parola “sambuca” nella denominazione di vendita non sia in caratteri più grandi rispetto alle altre diciture).
Ecco la risposta testuale di Ciolos:
“come rilevato nella risposta della commissione all’interrogazione e-12362/2013[3], una bevanda spiritosa può recare sull’etichetta un termine composto contenente il nome di una categoria di bevanda spiritosa e il nome di un prodotto alimentare che vi è stato aggiunto, per esempio "sambuca alla fragola", solo se l’alcole contenuto nel prodotto finale proviene esclusivamente dalla bevanda cui è fatto riferimento nel termine composto, in questo caso la "sambuca".
il prodotto alimentare aggiunto può modificare il colore della categoria di bevanda spiritosa utilizzata. l’informazione corretta è data al consumatore mediante il termine composto riportato sull’etichetta, che non può apparire in caratteri di dimensioni maggiori rispetto a quelli della denominazione di vendita.”
Insomma: ok ai coloranti, ok al termine sambuca nella denominazione (purchè non maggiore agli altri caratteri e nomi), ma a patto che l’alcol sia tutto.. da anice???
Una risposta paradossale, che sfiora il grottesco: neppure la sambuca tradizionale potrebbe mai venire prodotta esclusivamente con alcol di anice, per due semplici ragioni:
– un liquore così prodotto sarebbe del tutto imbevibile;
– non basterebbero le coltivazioni di anice del pianeta intero per rispondere alle esigenze produttive del liquore italiano più venduto nel globo!
La vera sambuca, a norma del regolamento (ce) 110/08, deve invece rispondere a requisiti semplici e inderogabili, quali appunto l’assenza di colore, il grado alcolico minimo, la presenza di anetolo. l’alcol, di qualità, può invece provenire da varie fonti, come il grano ad esempio, nel rispetto delle regole dette.
Il commissario uscente ha fatto una bella confusione. Insomma, tirando pure a mezzo un regolamento di là da venire e ammettendo a pre-requisito del "termine composto" condizioni che non sono attuali nemmeno … per il prodotto di base (la sambuca). senza neppure interessarsi della effettiva applicazione delle norme di sua competenza.
Chi decide?
A quanto pare, diverse autorità si sono già interessate del fenomeno delle sambuche colorate. Anche in Italia, ove risulta pendere un’indagine presso la procura di Torino. Il regolamento 110 del resto é di per sè molto chiaro e nessuno – neppure il commissario Ciolos – mai oserebbe avanzare dubbi sulla illegittimità di un cognac o di un whiskey di colore blu.
A ogni buon conto, si noti bene che soltanto la Corte di giustizia e il legislatore europeo (non anche la Commissione) hanno competenza a interpretare i provvedimenti comunitari, secondo quanto previsto nel trattato UE. Poco vale quindi la risposta di Ciolos.
Peraltro, la ‘ratio’ e la lettera del regolamento (ce) 110/08 mirano a proteggere, ed effettivamente proteggono le bevande ivi tutelate da ogni forma di imitazione e usurpazione, incluse formule come i c.d. "termini composti”.
Vinitaly: teatro di frode in commercio e truffa aggravata?
Per tornare al punto di partenza, sarebbe interessante comprendere se la presentazione allo show room del Vinitaly delle sambuche colorate, da parte di alcuni operatori italiani, possa integrare i delitti di frode in commercio ed eventualmente di truffa aggravata, consumati o tentati. Certo, alla fiera non si vendono le merci esposte a campione. Pur tuttavia, la presentazione dei prodotti e l’offerta dei campioni in degustazione – sia pure a titolo gratuito – prefigurano una “offerta per la vendita”. Una comunicazione commerciale pre-contrattuale, che annuncia o segnala la disponibilità dei prodotti stessi su uno o più mercati. Appare perciò poco credibile ogni eventuale tentativo di trincerarsi dietro la scusa che “il prodotto non era in vendita”. Alle competenti autorità ogni migliore valutazione, possibilmente senza bisogno di attendere la prossima fiera campionaria.
La ratio stessa del nuovo regolamento 1169/2011, “Food information to consumers”, copre del resto uno spettro comunicativo ampio, che include la presentazione, pubblicità, etichettatura e informazione, e diventa così difficile sfilarsi con vari distinguo.
Alla Frutta…ma senza frutta: dopo lo scandalo delle “bevande a base di frutta”, anche i superalcolici a base di frutta….
Un ulteriore inganno della sambuca particolarmente odioso riguarda poi la frutta vantata in denominazione di vendita, ma con la frutta stessa assente (sono presenti semmai aromi e coloranti). Una frode che si avvantaggia di quel che accade per altre categorie merceologiche, ad esempio le bevande a base di frutta, dove in base alla normativa attuale è sufficiente un magro 12% di frutta per consentire di riportare il nome della frutta in denominazione di vendita. Battaglia che vede da anni Coldiretti in prima linea.
Sono fatti che creano danno sia ai consumatori che ai produttori, e che richiedono una più pronta ri-sintonizzazione normativa, in un periodo storico in cui il binge drinking e l’obesità infantile (dovuta in buona parte ai soft drinks e alle bibite zuccherate, come sempre più studi testimoniano) sono problemi rilevanti di salute pubblica ed un costo per le casse pubbliche.
Sarebbe davvero il caso che la frutta in denominazione di vendita cominciasse a venire "scomodata" solo quando è davvero presente, ovvero in percentuali significative e soltanto quindi se in grado di orientare i consumi anche in senso migliorativo. E questo è sicuramente uno sforzo generale che va fatto, sia a livello nazionale che europeo, in un momento in cui la salute pubblica e campagne informative come "5 al giorno" (per aumentare i consumi di frutta e verdura) rischiano di essere offuscate e vilipese da trucchetti di marketing, di cui pochi finiscono per avvantaggiarsi ai danni della collettività.