Da una parte, l’interesse degli Stati per la salute pubblica, dall’altro, la volontà di marketing delle imprese, hanno prodotto negli ultimi anni un insieme di simboli o loghi semplificati per comunicare in modo immediato al consumatore il “tasso di salubrità” di un cibo.
A simboli “positivi”, come il baffo “Health choice” olandese o la Keyhole svedese, si affiancano disposizioni come quella inglese sui “semafori”, che invece danno una lettura più critica –vero rating agli alimenti, con sottolineature molto chiare riferite ai colori-rosso, verde e giallo-sui nutrienti da “tenere sotto occhio” (grassi saturi, grassi, zuccheri e sale).
Le previsioni circa una comunicazione sulla salute “ultrasemplificata”, sono contenute in almeno un paio di disposizoni, a livello normativo UE. Da un lato, all’articolo 35 del regolamento (/UE) 1169/2011, vi è infatti la possibilità per gli Stati membri dell’Unione di introdurre aggiuntive disposizioni circa le info nutrizionali volontarie, anche tramite simboli, loghi o simili (e a patto che tali info non siano discriminatorie tra prodotti e che non impediscano la circolazione delle merci, oltre a dover essere ben comprese dai consumatori).
A dire il vero, un’altra disposizione –altrettanto generale- era contenuta all’articolo 10(3) del regolamento Health & Nutrition claim del 2006 (il 1924), laddove si permetteva l’uso di claim riferiti al benessere generale o allo stato di salute complessivo dell’organismo. Certo qui non si parlava di simboli o loghi, ma comunque di informazioni “ultra-semplificate” che parlassero direttamente “al cuore” del consumatore: consentendogli in un istante di capire il livello di salubrità del cibo.
Al netto delle soluzioni normative, il mondo della ricerca ha poi nel tempo seguito un approccio diverso e non immediatamente pensato per il marketing, o per la compliance normativa: proponendo indicatori di qualità nutrizionale, vuoi applicati al singolo alimento, vuoi alla dieta.
Alcuni esempi sono i vari indicatori di aderenza alla dieta mediterranea, considerata un modello universalmente valido (e localmente adattabile, se è vero che il ricercatore italiano Gianluca Tognon ha evidenziato come… gli svedesi abbiano adottato una dieta “più mediterranea” degli italiani). Un altro è il famoso Healthy Eating Index, anche nella sua versione aggiornata, che di fatto condivide molti spunti in comune con la dieta mediterranea (limitare il consumo di proteine e grassi animali, via libera a frutta e verdura).
C’è chi ha sottolineato poi la necessità di perseguire un approccio armonizzato, allargando la valutazione del cibo ad aspetti ulteriori rispetto a quello nutrizionale, come Tim Lang o ancora altri- ad esempio, includendo aspetti ambientali, tossicologici, riferiti al grado di trasformazione del cibo, e altro ancora.
La solitudine dei numeri primi
"Può un solo numero restituire l’idea della salubrità di un cibo?", si chiedono diversi osservatori. Sarebbe utilissimo se si pensa che il 52% dei consumatori americani pensa sia più facile calcolare le proprie tasse che non capire quali alimenti sono salubri. Ma una comunicazione semplicistica ha controindicazioni.
In base ad uno studio della Cornell University, immagini con forte piglio “scientifico” (anche tramite grafici) comunicano una idea di bontà ed efficacia… a prescindere dall’effetto reale vantato (che può essere minimo o assente: conta più la forma della sostanza insomma). In tal senso, si manifesta “l’effetto alone”, ovvero, una inferenza indebita fatta involontariamente dal consumatore nell’attribuire proprietà ad un prodotto quando in realtà…non sono presenti, ma magari solo indirettamente suggerite.
In questi giorni poi l’ Environmental Working Group (EWG)ha prodotto un food scores database. Un approccio nuovo, che va oltre la dieta, e che premetta ad un giudizio sui singoli alimenti, confrontando anche quelli acquistabili al supermercato. Il voto va da uno a dieci: più è basso, meglio è.
Già sono emerse delle critiche: può un database essere davvero utile o è forse necessario focalizzarsi sulle diete più che sugli alimenti?
La realtà non è così semplice. Fino ad oggi l’enfasi sulla sola dieta (con il rifiuto relativistico di considerare i cibi in quanto tali “buoni o cattivi”), non ha prodotto grandi risultati. Si sa: la dieta è una sfida a lungo termine, e spesso ci si ferma prima o si rimane scoraggiati per strada. Per contro, un rating chiaro sui cibi ci dice- qui ed ora– cosa preferire. Un approccio insomma più consistente con la behavioral economics ed il nudging.
Non a caso negli USA si è passati da Food Based Dietary Guidelines costruitie intorno alla Food Pyramid (molto concettuale ed astratta: chi riesce a visualizzare “una intera settimana di pasti” e a regolarsi di conseguenza ad ogni pasto?) al logo Choose My Plate, che evidenzia immediatamente cosa mangiare per ogni singolo pranzo. Qui ovviamente le proporzioni sono tra diverse categorie alimentari, nel loro spazio nel piatto.
Tuttavia, sebbene, l’approccio seguito da EWG ha dimostrato alcuni problemi, non può essere abbandonato con una scrollata di spalle. Ogni approccio di rating è necessariamente arbitrario, e i consumatori possono avere una minore consapevolezza- come giudicano i detrattori. Ma per quanto ogni indicatore singolo si presti a questo genere di problemi, molte delle critiche che sono state fatte al database EWG sono strumentali, oltre che di parte.
Diventa infatti difficile sostenere- come è stato fatto- che la presenza di sostanze chimiche aggiunte, o di coloranti, non sia negativa per sé, dal momento che la Food and Drug Administration li ha approvati per l’uso, “considerandoli sicuri”. Così come diventa difficilmente difendibile sostenere che il grado di trasformazione degli alimenti non va letto solo in negativo (per inciso, la OMS considera gli Ultra Processed Foods come una minaccia alla salute pubblica globale).
Ancora, non si può pretendere che il bisfenolo A – criticato dall’EWG e foriero di score negativo- sia così sicuro, come sostiene IFIC. In Europa ad esempio, l’ANSES francese ne ha disposto la messa al bando, ed Efsa si sta interrogando in tal senso, sebbene abbia al momento almeno-una posizione meno critica.