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Waitrose fa entrare l’agricoltura nei supermercati

28 Agosto 2013
Waitrose fa entrare l’agricoltura nei supermercati

Dopo l’Horsegate, e la risposta di Tesco (che si dota di un nuovo responsabile delle relazioni con gli agricoltori), anche Waitrose-“drogherie di lusso”-risponde. Portando i farmers’market nel format distributivo. C’è da chiedersi se sarebbe successo ugualmente, senza dover arrivare allo scandalo dell’horsegate: ma quel che importa è che alla fine, ci si è arrivati. L’effetto positivo dello scandalo alimentare partito dal Regno Unito lo scorso anno, e ampiamente trattato a più riprese, è sfociato in quello che viene definito “Farm Shop”, e che in Italia già aveva un nome: le “Botteghe di Campagna Amica”, con le caratteristiche insegne gialle e che ormai popolano l’Italia.

L’esperimento di Waitrose, nota per essere una catena distributiva “di elite”, e non proprio a buon mercato- è però un caso isolato, al momento, anche se non è detto che non sia solo l’inizio.

Si tratta infatti di un unico negozio, di 165 metri quadrati, sostenuto principalmente – si legge dal sito del The Guardian- dalla azienda di Leckford, che già riforniva la catena, e da altri 60 piccoli agricoltori tutti dello Hampshire. In totale il negozio conta su 1000 referenze.

Fornitori della famiglia Reale – di cui riportano orgogliosamente la corona- e dal principe di Galles, Waitrose riceve anche l’appoggio della National Farmers’ Union (NFU):  Deborah Cawood, Head of Food Chain ci ha chiarito:

‘Waitrose ha da tempo iniziato a essere un alleato del cibo agricolo inglese, ed è una buona notizia che siano impegnati ad approvvigionarsi di cibo inglese per la maggior parte dei prodotti presenti nel “Farm Shop”, che provengono per il 60% della tenuta di Leckford e per il 40% da piccolo produttori”.

Nel Regno Unito in particolare, le prime quattro insegne della GDO raggiungono un livello di concentrazione oligopolistica (oltre il 70% del mercato) che pone pressione sugli altri anelli della filiera, pregiudicando la sostenibilità dell’agricoltura nazionale nel lungo termine.

Le risposte

Se solo il 36% dei consumatori dichiara di avere sufficienti garanzie circa l’origine del proprio cibo, non vi sono solo aspetti di percezione dei consumatori circa sicurezza e qualità alimentare: ma anche di sostenibilità complessiva “ a lungo termine” della filiera alimentare.

Oltre alla disintermediazione commerciale della filiera, con punti vendita gestiti dagli agricoltori, una risposta più strutturale riguarda cosi lo stabilire -a livello europeo- una cornice normativa certa di contrasto alle cosiddette “prassi commerciali inique” (non solo ritardi nei pagamenti, ma anche rottura unilaterale dei contratti, politiche commerciali del reso su prodotti invenduti, scontistica retroattiva, conguagli per offerte promozionali, vendite sottocosto con costi trasferiti sui fornitori, solo per citarne alcune).

Coldiretti insieme ad NFU ed agli agricoltori europei del Copa Cogeca, sta chiedendo insistentemente una forte azione in tal senso, che permetta di aggiornare l’attuale vuoto normativo nelle relazioni commerciali Business to Business. L’Europa ad oggi tutela in modo armonizzato solo i consumatori (normativa Business to Consumers). In Italia intanto, l’Antitrust ha appena pubblicato, con qualche mese di ritardo rispetto alle attese, un rapporto sullo stato di concorrenza nella distribuzione organizzata. L’ultimo report in tal senso datava 2007, e riguardava il prezzo dell’ortofrutta nelle varie forme distributive. Nell’ultimo rapporto, pubblicato lo scorso 13 agosto, emergono forti criticità a danno dei produttori e dei consumatori, entrambi perdenti.