La tecnica della biofumigazione consiste nell’applicazione di biomasse vegetali dotate di attività biologica nei confronti di alcuni patogeni del suolo e più in generale per una gestione sostenibile della fertilità chimica e biologica dei terreni. Nel corso di questi anni il Centro di ricerca per le Colture Industriali del Crea ha portato avanti numerosi progetti i cui risultati hanno condotto ad applicazioni nella gestione della fertilità chimica e biologica dei suoli agrari ammesse sia in agricoltura biologica che nella produzione integrate (v. In Internet The Brassicaceae Biofumigation System for Plant Cultivation and Defence. An Italian Twenty-Year Experience of Study and Application).
In natura, sono presenti numerosi sistemi endogeni di difesa da fattori biotici e abiotici tra i quali pare di particolare interesse quello tipico della famiglia delle Brassicaceae, il sistema glucosinolati-mirosinasi . La biomassa di alcune brassicacee, infatti, è in grado di svolgere una azione risanante dei suoli con una tecnica nota con il termine di biofumigazione naturale, per le sue proprietà di riequilibrare la microflora del terreno, contenere lo sviluppo di patogeni e raggiungere anno dopo anno un elevato livello di fertilità del terreno. In quest’ottica la biofumigazione naturale risulta compatibile con i principi dell’agricoltura biologica in quanto non elimina in toto gli organismi presenti nel terreno ma anzi ne controlla alcuni dannosi elevando nel contempo la microflora totale nel terreno migliorandone la fertilità ed incrementando la biodiversità dei sistemi.
In seguito agli studi svolti dal Crea-Cin, oggi sono disponibili sul mercato una gamma di tecniche e prodotti ammessi sia nella produzione integrata che biologica. Il sistema più virtuoso di questa tecnica si basa sull’uso dei sovesci verdi di piante ad azione biofumigante , che consentono di ottenere tutti i noti benefici dei sovesci convenzionali, quali l’incremento della sostanza organica nel suolo, il miglioramento delle caratteristiche chimiche e fisiche dei terreni, l’ incremento della biodiversità, la riduzione delle perdite per dilavazione unita ad una minore erosione, ed una migliore lavorabilità dei terreni, ai quali, però, si aggiunge l’azione biofumigante nei confronti di alcuni patogeni del terreno. L’azione delle piante biofumiganti si esplica con modalità differenti in funzione della localizzazione delle sostanze attive nelle diverse parti della pianta; le conseguenze pratiche di tali conoscenze sono state fondamentali per sfruttare a pieno il loro potere ammendante.
Non tutte le Brassicaceae, ma solo alcune selezioni caratterizzate da particolari contenuti quali-quantitativi in glucosinolati ha permesso di sviluppare il tipico effetto biofumigante che si esplica solo in seguito dell’interramento dei residui macinati. I prodotti di idrolisi dei glucosinolati se contenuti nella parte aerea delle piante da sovescio , rilasciano molecole volatili in grado di contenere numerosi funghi patogeni del terreno e nello stesso tempo di esaltare la competitività dei microorganismi utili. Quando invece il problema principale da affrontare sono i nematodi cisticoli (ad es. Heterodera schachtii) o galligeni (ad es. Meloidogyne incognita), si suggerisce l’uso di piante specificatamente nematocide in grado di svolgere, sulla radice, un effetto trappola sul patogeno. Questo effetto è strettamente legato all’elevato contenuto in glucosinolati nella radice attraverso il rilascio di essudati radicali attrattivi per le larve infestanti di nematodi. In questo modo, i nematodi penetrano nella radice per parassitarla, ma in tal modo sono intossicati dal rilascio di composti anti-nutrizionali, non riuscendo così a completare il loro ciclo riproduttivo.
I sovesci di piante biofumiganti possono essere combinati con altre biomasse delle brassiche quali fieni, farine, pellet, ecc., e sono ad oggi applicate in numerose aziende orticole italiane ed internazionali che in questo modo sono riuscite a ridurre l’impiego di prodotti chimici nella gestione delle coltivazioni attraverso un incremento della fertilità complessiva del terreno. Tale approccio permette nel breve, ma, soprattutto, nel medio periodo un incremento della resa e della qualità merceologica delle produzioni anche in settori particolarmente sensibili quale quello della lotta ai nematodi o per le produzioni orticole della IV gamma come alternativa non chimica al Metam Sodium. In quest’ottica, l’uso di composti naturali determina numerosi benefici ambientali dovuti alla rinnovabilità e degradabilità di questi materiali che generalmente permette una riduzione delle emissioni di gas serra ed un minore impatto sia sugli operatori che sui consumatori se confrontate ai fitofarmaci convenzionali.
In sostanza, gli studi condotti dal Crea Cin rappresentano , secondo Coldiretti, un’interessante opportunità che consente una risposta applicativa degli indirizzi previsti dalla Politica Agricola Comunitaria che richiede all’agricoltore di integrare, se non sostituire del tutto, quando possibile, l’uso della chimica nella difesa fitosanitaria con soluzioni di lotta biologica e non chimiche, al fine di realizzare un modello di agricoltura sempre più sostenibile. Le piante ed i prodotti a base di farine di soleate sono commercializzati ed utilizzati in oltre venti paesi con applicazioni in orticoltura, floricoltura, frutticoltura e in trattamenti post raccolta. La loro applicazione sinergica anno dopo anno ha mostrato di essere in grado di massimizzare i benefici della tecnica e di offrire all’agricoltore una opzione pratica e naturale nelle coltivazione e gestione delle colture.
Secondo Coldiretti, tale tecnica, favorendo una maggiore salubrità dei prodotti e dell’ambiente di lavoro attraverso tecniche di produzione agricola più rispettosa dell’ambiente, può incontrare sempre di più non solo il favore e l’interesse degli agricoltori, ma anche quello dei consumatori e dei responsabili di filiere alimentari. In questo ambito, le tecnologie si sono affinate a tal punto da rispondere, con differenti modalità di applicazione e di diversi prodotti specifici, alle diverse problematiche relative anche ad una coltivazione intensiva. In particolare, sono stati definiti gli aspetti agrotecnici, volti a ottimizzare la tecnica di coltivazione ed interramento di piante e materiali ed i meccanismi biochimici e fitopatologici rivolti alla conoscenza del meccanismo di azione, aspetti questi fondamentali per l’ottimizzazione dell’efficacia dei trattamenti e l’applicabilità su problematiche diverse in considerazione dell’elevata rusticità ed adattabilità delle Brassicacee. L’epoca di semina in grado di fornire le maggiori rese è quella autunnale, ma le piante raggiungono l’epoca di fioritura anche se vengono seminate in primavera o a fine estate, prestandosi ad una utilizzazione come colture intercalari delle colture da reddito.
Veri e propri schemi di avvicendamento colturale sono oggi a disposizione degli agricoltori che vogliano operare la scelta di inserire le piante biofumiganti come colture intercalari, senza per questo sospendere la produzione. Maggiori conoscenze si hanno oggi anche sulla dinamica del rilascio delle sostanze volatili, in seguito alla trinciatura dei tessuti verdi. Queste ricerche hanno evidenziato come la produzione dei prodotti di degradazione dei glucosinolati (isotiocianati, nitrili, ecc.) inizi immediatamente, e raggiunga un picco nelle prime 12 ore per esaurirsi nell’arco di 48 ore. E’ pertanto di fondamentale importanza ridurre al minimo la dispersione dei composti biofumiganti, procedendo ad un rapido interramento delle piante appena trinciate. Anche la temperatura contribuisce ad accelerare la velocità di reazione: oltre a organizzare un buon cantiere di lavoro per l’operazione di trinciatura e interramento è bene evitare di operare nelle ore più calde, specie in estate.
E’ auspicabile che in futuro si possa disporre di macchine in grado di ottimizzare con un unico passaggio le operazioni di trinciatura e interramento. Al momento, se si dispone di un unico mezzo, è bene eseguire la trinciatura con una fresa che lavori fuori terra al primo passaggio e che ripassi sullo stessa strisciata appena trinciata, interrando in tempi brevissimi. L’incremento della biodiversità, legato all’utilizzo di piante e prodotti delle brassicaceae permette un’ulteriore, importante validazione della tecnica di biofumigazione. Per i casi in cui non è facilmente realizzabile la coltivazione di una pianta da sovescio sono disponibili pellets e farine disoleate derivate da semi oleosi di Brassicacee (in questo caso Brassica carinata), contenenti buone quantità di glucosinolati. Le modalità di applicazione sono estremamente pratiche e veloci: le farine vengono interrate allo strato superficiale del terreno e sottoposti ad una leggera irrigazione. In tal modo, l’azione ammendante avviene interamente nel terreno, senza dispersioni e con un’efficienza molto elevata, soprattutto in coltura protetta.
Insieme all’azione biofumigante, le farine esercitano anche un’azione fertilizzante in considerazione del contenuto del 6% di azoto organico e del 3% di fosforo assimilabile e fitostimolante legata all’apporto di sostanza organica, molecole secondarie quali i polifenoli azoto non dilavabile, fosforo e microelementi rendono in molti casi superflua ogni altra concimazione di fondo. Considerata, dunque, la possibilità di utilizzare le varie tecniche di biofumigazione naturale e la possibilità di applicarle in sinergia con altre tecniche biologiche, quali l’uso di microrganismi utili o antagonisti naturali, l’agricoltore ha a disposizione nuove possibilità di gestire anche sistemi agricoli intensivi, realizzando nel terreno, delle vere e proprie bio fabbriche per il mantenimento di elevati standard di qualità produttiva con un’attenzione per l’ambiente , i produttori ed i consumatori.