Olio di palma, l’Istituto Superiore di Sanità valuta il consumo della popolazione

24 Marzo 2016
Olio di palma, l’Istituto Superiore di Sanità valuta il consumo della popolazione

Allarmismo o realtà? Una valutazione del rischio a partire dal consumo della popolazione (esposizione): in base all’ISS siamo tranquilli. Ma la campagna lanciata dai colossi delle multinazionali non lascia presagire nulla di buono. Un rapporto, sull’eventuale tossicità dell’olio di palma come ingrediente alimentare è al centro del dibattito. L’olio di palma è onnipresente in biscotti, merendine ma anche in panificati e in genere prodotti da forno, gelateria-. Diversi studi scientifici ne hanno messo in relazione la presenza di acido palmitico con capacità pro-infiammatoria nel pancreas, predisponendo a diabete, aterosclerosi e addirittura cancro. La D.G. Igiene degli Alimenti e Nutrizione del Ministero della Salute ha inoltrato una domanda all’ISS, che ha risposto con un rapporto ufficiale. Le conclusioni, sottolineano tre dati: – il primo che è il contenuto di grassi saturi in quanto tale- irrispettivamente dalla qualità degli stessi- a essere dannosa per le arterie e per il quadro cardiovascolare; in conseguenza, l’olio di palma è più ricco di grassi saturi (45-55%) rispetto a oli vegetali di altra natura; – la seconda, che l’acido palmitico in quanto tale risulta assolto- non vi sono evidenze scientifiche significative a suo carico nell’imputazione di particolari quadri clinici. Alla fine, il paragone che viene fatto è con il burro. – il terzo dato- è che i consumi di palma non sono eccessivi per la popolazione italiana, mentre quelli di grassi saturi in genere sono appena superiori- per i bambini- al 10% dell’energia consigliata da questa fonte. Cosa manca? A nostro convincimento -e senza entrare come altri hanno pure fatto nei livelli di consumo stimati (che potrebbero essere bassi- tra i 2,5 e i 4,7 grammi, ma il trend di import del palma è in forte crescita, dalle 40mila tonnellate nel 2005 alle quasi 80mila nel 2010), nel quadro delineato dall’ISS, sebbene benvenuto e tanto atteso- mancano alcune cose. Intanto, dispiace che il parere dell’ISS non consideri la diversa presenza di acidi grassi a catena corta o lunga nel burro e nell’olio di palma. Il rapporto tra gli stessi prevede infatti che i grassi saturi del burro, a catena corta, siano trasformati con maggiore facilità a livello metabolico in grassi monoinsaturi. Non si può semplicemente affermare che il grasso di palma ed il burro sono sullo stesso piano. L’acido palmitico, che consta di un 44% dell’olio di palma, è un grasso a catena lunga con effetti negativi circa la produzione di colesterolo. Uno studio del Ministero dell’Agricoltura USDA- aveva dichiarato nel 2006 che l’olio di palma- contrariamente a quanto fatto da tante industrie alimentare anche in Europa- non è un valido sostituto rispetto ai chiaramente dannosi grassi trans (TFAs), in quanto causerebbe effetti negativi sul profilo ematico, come aumento del colesterolo LDL. Il secondo aspetto da rilevare, è che non basta una generica sostituzione con altri grassi- magari vegetali. Olio di semi di mais o di girasole, per l’elevato contenuto di grassi polinsaturi, non sono massimamente indicati per i prodotti da forno in ragione delle elevate temperature di cottura raggiunge, con ossidazione degli stessi. L’ideale sarebbe avere grassi monoinsaturi come quelli dell’olio di oliva- ma già in diversi si stanno affacciando all’utilizzo dell’olio di colza, problematico però per la presenza di acido erucico- epatotossico. Inoltre, una qualche cautela andrebbe posta sulle evidenze-magari non conclusive ma che nemmeno possono essere completamente dismesse- circa aspetti problematici dovuti alla specificità dell’acido palmitico quale componente principale. Si evidenzia inoltre come alcune pubblicazioni prese in considerazione nello studio sono state supportate finanziariamente da associazioni ed Enti in possibile conflitto di interesse. In nessuna parte si fa infine riferimento agli aspetti ambientali della deforestazione selvaggia che le coltivazioni di palma stanno creando in Malesia e Indonesia, che insieme arrivano a produrre quasi il 90% dell’olio di palma globale. Fattore questo, che sarebbe di per sé sufficiente a valutare con maggiore cautela il suo utilizzo così diffuso.