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“Meno sale”: ma l’Antitrust interviene. Tanta ancora la confusione.

24 Aprile 2014
“Meno sale”: ma l’Antitrust interviene. Tanta ancora la confusione.

Il sale è da sempre utilizzato come conservante ma anche e naturalmente, come esaltatore del sapore. Con lo sviluppo di nuove tecnologie e il consenso diffuso circa la salubrità di una dieta a basso contenuto di sale, i produttori si stanno adoperando per realizzare sempre più prodotti senza l’aggiunta di sale.

Le campagne per la riduzione del sale, secondo i cardiologi italiani potrebbero salvare 67000 vite all’anno: ma nel Bel Paese rimangono ancora un qualcosa lasciato ai privati, sebbene in altri paesi UE abbiano visto una forte collaborazione tra produttori e autorità pubbliche.

Con risultati del tutto interessanti, e con la promessa di un calo significativo della mortalità (cardiovascolare). Ad esempio, in Inghilterra, con un vero e proprio piano di comunicazione governativo (2004-2009), considerato una best-practice dall’Autorità europea per la Sicurezza Alimentare.

A livello internazionale poi, WASH, ”Azione globale su sale e salute” ha costituito un network di soggetti per diminuire il primo fattore di mortalità cardiovascolare, addirittura più rilevante del fumo: un 30% dei decessi cardiovascolari sarebbero infatti imputabili all’eccessivo consumo di sale.

 

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 Sale, l’Europa si muove

L’ Unione Europea nel 2009 ha fissato un obiettivo di riduzione del consumo di sale del 16% per un periodo di 4 anni, nei cibi trasformati. E vari Stati si sono arruolati in questo progetto. Ad oggi sono 19 le iniziative europee per la riduzione del sale, su 33 in tutto il mondo. Dati che pongono certamente l’Europa all’avanguardia nelle policy in tal senso.

 La normativa sull’etichettatura aiuterà: il contenuto di sale-sodio diventa obbligatorio in etichetta dal 2016, ed in via volontaria, già ora può essere visualizzato, a norma della regolamentazione UE in materia. Insomma, il tema “sale” sta diventando qualcosa di rilevante da comunicare ai consumatori. Anche in chiave di pubblicità comparativa (qualora ad esempio si voglia vantare di fronte al consumatore un ridotto contenuto di sale). Ma qui le cose si complicano.

 

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Il regolamento 1924….

In base al regolamento base sugli health and nutrition claim, il ridotto o assente contenuto di sale era certo espressamente previsto come indicazione. Allo scopo, l’Allegato del regolamento prevede addirittura 3 diverse modalità di indicazione e relative condizioni:

·         a basso contenuto di sodio/sale”, consentita solo se il prodotto contiene non più di 0,12 g di sodio, o un valore equivalente di sale,per 100 g o 100 ml.

·         “a bassissimo contenuto di sodio/sale”, consentita solo se il prodotto contiene non più di 0,04 g di sodio, o un valore equivalente di sale, per 100 g o 100 ml. Tale indicazione non è utilizzata per le acque minerali naturali o per altre acque.

·         “senza sodio o senza sale”, consentita solo se il prodotto contiene non più di 0,005 g di sodio, o un valore equivalente di sale, per 100 g.

Tuttavia il regolamento non prevedeva la possibilità di indicare processi virtuosi dei produttori che intendessero diminuire il contenuto di sale. E l’indicazione che non è stato aggiunto sale/sodio ad un determinato prodotto alimentare non era così consentita. Una lacuna importante, dato il clima che si cominciava a respirare in Europa e le policy pubblico-private per la riduzione del sale.

Ma il regolamento 1047 del 2012 ha sanato tale carenza. Infatti tra le novità del regolamento figura la possibilità di indicare “senza sale aggiunto” (o sodio) nei prodotti, in modo da orientare i consumatori a scelte più sane. Unico limite: tale indicazione potrà essere usata solamente se il prodotto finale non supera lo 0,12 grammi /100 grammi di sodio.  Insomma, di fatto la dizione deve essere almeno equivalente a quella “a basso contenuto di sale” (0,12 g di sodio /100 g di prodotto, appunto)

La motivazione? Evitare che una riduzione anche rilevante, non lasci però nel prodotto finale un contenuto di sale ancora molto elevato (e quindi poco salubre), mentre si presenta di fatto tale prodotto come “senza sale”. Conta quindi la strada (la riduzione del sale come processo) ma deve contare- se interessa la salute pubblica e la leale concorrenza tra le imprese- anche il risultato (la quantità assoluta quindi).

Dubbi…

Ad ogni modo, l’Allegato del regolamento 1924.- lasciavano intendere che fosse utilizzabile la menzione “ a tasso ridotto di sale”  se il prodotto contiene almeno un 25% in meno del nutriente rispetto alla media dei prodotti più venduti della categoria (così viene generalmente inteso il riferimento ad un“prodotto simile”). Tante menzioni, con possibile confusione delle imprese, ma soprattutto, dei consumatori. E qui si apre la pagina odierna, con un intervento repressivo della Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM).

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E sanzioni….

Sebbene infatti l’interesse generale per una riduzione del sale nella dieta sia elevato, le imprese ancora faticano a rispettare appieno tale quadro giuridico. Da qui una pronuncia dell’Antitrust, che a seguito di diverse segnalazioni da parte di una associazione dei consumatori, ha sanzionato ben 13 aziende  (tra cui (un digestivo effervescente, un salume ed alcuni crackers).  La causa? Indicazioni non corrette, ambigue e fuorvianti, come

·         “con il 30% di sodio in meno”

·         “poco sale”

·         “non salati”

·         “non salati in superficie”

L’Antitrust ha giudicato tali indicazioni ingannevoli e lesive del Codice del Consumo. Le aziende sono state invitate con intervento di moral suasion a correggere le menzioni, con due distinte comunicazioni, in data 7 ottobre 2013 e in data 3 dicembre 2013, sia in etichetta che in pubblicità. Inoltre, “Le nuove confezioni verranno commercializzate a partire dai prossimi mesi, esaurite le scorte attuali, mentre la diffusione su altri supporti, ove prevista, avverrà in piena assonanza alle modifiche effettuate per il packaging“, si legge nella nota diramata.

In particolare, con riferimento ai crackers, in aggiunta all’eliminazione della dicitura, alcuni operatori adotteranno l’indicazione “Crackers salati. Senza granelli di sale in superficie”, mentre altri utilizzeranno un claim nutrizionale di tipo comparativo. In questo modo, si riconosce la portata “nutrizionale” dei messaggi, continua l’Antitrust.

Certo le menzioni “poco sale”, “non salati”, “non salati in superficie” sono immediatamente ingannevoli, qualora non venga rispettato il requisito dello 0,12 g di sodio per 100 g di prodotto finale. Bene ha fatto l’Antitrust a suggerire l’indicazione “Crackers salati- senza granelli di sale in superficie”, riducendo ad aspetti merceologici indicazioni che diversamente potevano avere una valenza nutrizionale.

 

 

Altrettanto chiara è però la motivazione che ha portato l’Antitrust a giudicare scorretto il claim “con il 30% di sodio in meno”. Certo, letteralmente, la menzione autorizzata in Europa sarebbe “a tasso ridotto di sodio”. Ma viene difficile pensare che la sanzione venga… da un eccesso di zelo del produttore nel comunicare al consumatore in quanto consista l’effettiva riduzione di sodio! Inoltre, in base al reg. 1924, basterebbe una riduzione del 25% (e non già del 30%) per dichiarare “ a tasso ridotto di sodio/sale”.

Il vero motivo della sanzione va infatti ricercato-seguendo la consolidata tradizione argomentativa dell’AGCM- nel non avere individuato un chiaro prodotto di confronto rispetto al vantato “-30%”. Solo in presenza del quale la comunicazione può essere considerata legittima e informativa, in grado di far compiere scelte consapevoli al consumatore.

Se il dettato del regolamento 1924 è stato poco chiaro, autorizzando la menzione “a tasso ridotto” riferendolo genericamente ad un prodotto analogo, successive interpretazioni hanno chiarito che tale prodotto analogo può essere rinvenuto:

–       Nei valori medi dei prodotti più venduti nella categoria di riferimento

–       (in caso di riformulazione a partire da prodotto della stessa marca ma “aggiornato” e migliorato), i valori del prodotto della stessa marca, prima della riformulazione.

Entrambe queste possibilità sono giudicate valide dall’Antitrust, a patto che si informi correttamente il consumatore circa il termine effettivo di paragone.

Ad ogni buon modo, quel che rileva sottolineare, è come una normativa europea complessa e stratificata- quella sugli health and nutrition claims- si trovi in difficoltà qualora emergano vari driver: non sempre infatti è possibile conciliare e tutelare allo stesso modo la concorrenza tra imprese -tramite ad esempio pubblicità comparativa ed il miglioramento dei prodotti-, con la tutela dei consumatori e più in genere, della salute pubblica. La certezza però è che la salute pubblica deve prevalere, su aspetti così delicati, e non vi devono essere al riguardo ombre di alcun tipo.